Mirabilia

Riccioli D’oro

Testo: Mauela Crepaz | Foto: Pierluigi Orler

Il legno, principio economico e vitale sulle nostre montagne, ha saputo dare vita – attraverso l’ingegno di abili artigiani – a strumenti tanto facili quanto indispensabili per le attività quotidiane.Ne è esempio supremo l’Umile Rastrello: solo Primo Zortea ormai lo fa ancora tutto di legno a mano.

Primo Zortea abita ai Berni, nella Valle del Vanoi, una piccola frazione prima di arrivare a Zortea nel Comune di Canal San Bovo. Primo è un artigiano, e, continuando la tra­dizione del nonno e del padre, costruisce rastrelli. Oggi è una passione, più che un’attività, a far restei no se magna, ormai. Il suo laboratorio è fantastico, nel senso letterale del termine: sembra di uscire dal tempo ed entrare in un “piccolo mondo antico”, riprendendo il titolo del capolavoro di Antonio Fogazzaro: un ambiente luminosissimo in cui il legno regna sovrano e gioca con la polvere. Quanti oggetti, attrezzi, pezzi, riccioli, scaiarole, e ricordi. Tutto ha un come, un dove e un perché. È un luogo in cui il silenzio è scandito dal ritmo armonico di Primo Zortea all’opera. La sua caparbietà nel non mollare è esemplare. Forse lui non è realmente consapevole del tesoro di conoscenza in suo possesso, ma ha capito che non va custodito gelosamente per sé.

I restei di Primo Zortea sono fatti a mano, tutti in legno, senza l’utilizzo di chiodi o puzzolenti colle sintetiche. E durano nel tempo: i vari tipi di legno – “con la venatura dritta e senza nodi, mi raccomando” – sono scelti anche per questo, oltre che per le loro doti intrinseche di resistenza ed elasticità. El manech è in abete bianco, con due o tre anni di stagionatura, così è ancora più leggero, la petenasa è in noce, legno resistente anche agli agenti atmosferici, e sì, perché en restel el sta anca fora sot al temp. I denti – rebbi – sono in frassino, altro legno resistente e leggero che si lascia lavorare agilmente. L’Umile Restel è frutto della paziente maestria che arriva alla perfezione nella simmetria, nelle misure e nell’affinamento dei particolari

La sua disponibilità a raccontare e mostrare la propria abilità nel “confezionare” l’Umile Restel è esemplare: è sempre presente con le attività dell’Ecomuseo del Vanoi ed è protagonista di un filmato del regista Carlo Bazan che traspone cinematograficamente la sua artigianalità in arte ne L’ultimo restelèr del Vanoi. Un tempo, l’Umile Restel in legno era un arnese funzionale e soprattutto indispensabile a vari usi: quando non c’erano ancora i rimbombanti mezzi meccanici odierni, serviva a far le rèle e poi i mari de fen. Non che oggi sia scomparso, tutti quelli che hanno en toc de prà o na scofa o n’ort posseggono l’Umile Restel, ma che tristezza! O ha rebbi di ferro – che poi guarda caso si arrugginiscono –, o peggio ancora di plastica, così quando si rompe – subito – e non serve più, diventa rifiuto da smaltire.

Un tempo, l’Umile Restel in legno era un arnese funzionale e soprattutto indispensabile a vari usi: quando non c’erano ancora i rimbombanti mezzi meccanici odierni, serviva a far le rèle e poi i mari de fen.

Pochi attrezzi sono necessari: una specie di morsa in legno costituita da na banca, dietro cui ci si siede, co na testa che può essere avvicinata o allontanata per fissare i pezzi da lavorare, en cortel a doi man per dare la forma al manech, na raspa per arrotondare la testina in cima al manico, carta de viero per lisciare dolcemente, un compasso per segnare i punti dove poi con la trivella a mano (l’antesignana del trapano elettrico) si fanno i buchi per inserire i rebbi, un seghetto fatto a punta per estrarre il legno dove poi inserire la pala del manico, en siegon per tagliare i tronchetti di frassino di dodici centimetri da cui col martello di legno spaccare le tabelle e preparare i pezzi da passare nello stampo anch’esso di legno e dar vita ai rebbi da fissare sulla petenasa, e un roncolet per arrotondarli e affinarli. Ammirandolo, è sottile la distanza che divide Primo da un artista e per quanto “si industri” a mostrare la tecni­ca, per arrivare ai suoi livelli servono troppa esperienza e pratica.

È proprio vero che val pi la pratica de la gramatica. Lui, benché lavori in modo calmo e tranquillo, è veloce. Quando i suoi pezzi sono pronti, in poco tempo dà vita all’Umile Restel, che non ha niente di dimesso: alto, snel­lo, leggero, versatile, è il degno compagno indispensabile per rastrellare il fieno, raccogliere le foglie secche, lavo­rare nell’orto. Mi è piaciuto molto vedere come nascono i riccioli, che poi vanno scartati. La sensibilità di un bambino sapreb­be inventare sicuramente nuovi utilizzi giocosi.

L’acume di Pierluigi Orler, il fotografo che ha voluto seguirmi in questa scoperta, rende meglio delle parole come anche i semplici riccioli, assumano un altro e alto significato: pura arte.

Mentre el restelèr è un’attività prettamente maschile, el restelar è un’occupazione spiccatamente femminile. Unaragazza bona de restel è veloce, precisa, ne sa anche di meteorologia,facendo buon uso della saggezza popolare:quando el Zimon el l’ha el capel, buta la falz e toi el restel, mododi dire molto più preciso del generico quando el Zimon e l’hael capel, o che fa brut o che fa bel.

Dai ricordi di Giuseppina Graziadei:“I omeni i’ndea a siegara la matina bonora.

Le femene le ruea pì tardi co le pape te lacandrola con su butiro e poina fumada. Quando i omeni i avea finìten prà, i batea la falz e i se spostea de n’altra banda a siegar. Cosìle femene le slarghea e le girea l’erba taiada, che la era pesante, parfarla sugar pì prest. Po le fea le rèle. Se l’èra calt, l’erba la se sugheaimpresa e le rèle le vegnea mese tel ninzol coi cavi, se no se fea i marie ‘l dì dopo se slarghea fora el fen n’altra volta e se fea de nou le rèle.

Co’l l’era sut, se metea el fen sul ninzol coi cavi che le femene le aveagià slargà, se serea i quatro cantoni del ninzol e i omeni i se portea lacarga sule spale. La vegnea reversada e slargada tel tabià e i tosati ila pestea par far pi posto a la mità”.

Aquile Magazine

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