Testo: Manuela Crepaz | Foto: Archivio Giulio Faoro
Che bella serata! Quattro Guide Emerite che ripercorrono con la memoria le loro invernali sul Cimone: una sera di gennaio, durante un’ottima cena preparata dagli chef dell’Hotel Regina, abbiamo fatto quattro chiacchiere e scoperto che in una scalata non è il risultato alpinistico che si vuole ricordare; per quello c’era la stampa, e Gino Callin in particolare.
Sono passati quarant’anni, ma nessuna lacrimuccia nostalgica, qui si tratta di quattro guide tutte di un pezzo con una memoria di ferro: all’inizio si notava un po’ di ritrosia nel tornare a quei tempi, sano frutto di modestia e tipica riservatezza montana. Poi, rotto il ghiaccio, i racconti procedevano in discesa ed è stata una passeggiata tornare indietro nel tempo. Sono stati simpaticamente anche ricordati Quinto Scalet e Renzo Debertolis, che con i “nostri quattro”, hanno condiviso le più belle avventure alpinistiche sulle Pale di San Martino.
I giornali all’epoca hanno dato molta eco alle loro imprese, con articoli che ne sottolineavano l’eroicità e la bravura, in imprese alpinistiche che avevano dell’avventuroso. Al tempo, l’apertura di nuove vie era considerata un evento da condividere con la comunità perché i rocciatori godevano di quell’allure mitica e leggendaria che adesso si è dissolta. Ecco allora, che rileggendo gli articoli sulla carta stampata, si riesce ancora ad assaporare quel mondo fatto di entusiasmo, coraggio, audacia, temerarietà, forza, risolutezza, ma anche di paure ben celate, dubbi, apprensioni, ripensamenti.
Fu soprattutto il giornalista Gino Callin (scomparso il 31 gennaio scorso) a seguire con passione le imprese alpinistiche delle nostre guide alpine. Gino Callin non era di certo un alpinista, ma il classico zitadin, ricorda Claudio Longo. Infatti, arriva a San Martino per la prima volta come inviato del quotidiano l’Adige in occasione del 30° anniversario della prima scalata al Cimone. Si è presentato con le scarpe lucide, giacca e papillon. Ci si può immaginare la sorpresa delle “Aquile”, tanto che buontemponi del calibro di Renzo Debertolis e dello stesso Claudio Longo lo hanno subito soprannominato El Farfallina ed è cominciata una vera amicizia ed un profondo rispetto dei ruoli.
Via Leuchs.
Giulio Faoro, Piero De Lazzer, Quinto Scalet, Renzo Debertolis.
È Giulio Faoro che racconta: “Undici ore di salita. Peccato che il filmato – alla cinepresa c’era Quinto – sia andato perso. Anche perché la scalata non era cominciata sotto i migliori auspici: dopo aver attrezzato i primi cinquanta metri, una scarica di sassi ha tagliato la corda ed è stato tutto lavoro inutile. Il camino era ghiacciato. Fatti due conti, io che conoscevo la via, ho pensato: ‘Sta a vedere che il camino tocca a me’. Ma conoscendo Piero come un altruista, ero sicuro che si sarebbe proposto, invece mi dice: ‘Auguri!’ Ho impiegato quasi un’ora a fare venti metri, e pensavo: ‘Vegnerò do’, ma invece tutto è andato bene e quando siamo tornati a valle, le maestre con gli scolari ci aspettavano e ci hanno battuto le mani. Anche per loro era stato un avvenimento, a quei tempi non era facile!” Che emozione si legge ancora nei suoi occhi!
Piero De Lazzer ci regala una chicca, raccontandoci che la sera Quinto, per il gran male ai piedi, si era tolto gli scarponi. Il giorno dopo, il freddo li aveva resi duri come en pindol e, ovviamente, non riusciva più a calzarli. ‘Poco male’, avrà pensato vedendo il fornelletto che Renzo si era portato appresso per fare il caffè. Ecco che cerca un cerino, lo sfrega, e, veloce prima che la fiammella si spenga, lo accende. Ci passa sopra i suoi scarponi per ammorbidirli, li calza e… apriti cielo! Arriva Renzo che vuole farsi il caffè ma… non c’era più gas. Ve li immaginate i commenti di Renzo? Nessuno ha osato ripeterli, ma si sono tutti fatti una gran bella risata al ricordo.
Oltre agli aneddoti, Claudio Longo ci tiene a sottolineare come ci fosse una certa competizione tra guide alpine e finanzieri – logico che ognuno voleva avere davanti uno dei suoi -, ma era una competizione “simpatica”, sana, priva di qualsiasi attrito. Ricorda con piacere quelle scalate in compagnia del Vicebrigadiere Piero De Lazzer, uno degli “Assi della roccia” assieme a Quinto Scalet per la Scuola Alpina Guardia di Finanza.
Ecco il tema di Maddalena, che titola:
I nostri scalatori.
Per la prima volta i nostri bravi scalatori Samartinotti tentano la difficile impresa di scalare il m. Cimone sfidando l’inverno. Partirono lunedì ben attrezzati e s’incamminarono verso i piedi della cima, arrivati bivaccarono all’adiaccio; tra il freddo pungente e la neve. Al mattino cominciarono la scalata piena di ostacoli e difficoltà. La roccia era coperta di neve e di ghiaccio e questo rendeva più difficile l’impresa. Gli scalatori erano: Scalet Quinto Guida Alpina, Debertolis Renzo portatore, Faoro Giulio guida alpina e De Lazzer Pietro istruttore nazionale civile. Tutti gli abitanti di S. Martino osservavano la scalata coi binoccoli e tutti erano emozionati nel vedere il coraggio di questi scalatori. Arrivò la sera ed essi dovettero fare della ginnastica per non congelarsi. Verso le ore 19 vi arrivarono sulla cima vittoriosi, lanciando fuochi d’artificio per segnalare a noi abitanti il loro arrivo.
Dormirono sulla cima e al mattino quando i primi raggi di sole rischiaravano la roccia cominciarono la discesa. Verso le ore 13 erano al Col Verde. Noi tutti non vedevamo l’ora che arrivassero. All’improvviso la maestra gridò: “Arrivano!” Noi tutti uscimmo sul poggiolo: erano le 14,30, ed essi stavano passando per lo stradone circondati da gente e fotografi, noi tutti battemmo le mani gridando: “Evviva!” Loro ci guardarono con il loro viso abbronzato e gelato. Essi hanno scalato questa cima e si sono sacrificati per render celebre il nostro paese. Noi siamo molto orgogliosi di avere così bravi scalatori.
Scolara Maddalena
La nostra attesa per i rocciatori del Cimone:
Eccolo lì, che si eleva sopra il nostro paese. Sembra che ci cada in testa: è il Cimone, la vetta più alta della catena. Oggi è stata scalata per ricordare il centenario della prima scalata. Molti uomini appassionati lo hanno scalato negli anni scorsi.
Questa spedizione odierna è formata da due finanzieri di Fiera, un rocciatore di San Martino, e tre di Passo Rolle.
Li aspettiamo per le quattro. I loro nomi saranno già stati scritti sul libretto dei ricordi di cui il nostro amico Nicola ci mostrò una fotografia.
I giornali hanno già parlato di queste imprese e la maestra ci ha letto qualcosa.
Noi speriamo che arrivino sani e salvi, li festeggeremo, applaudendoli dal balcone.
Il tema gli è valso un “Bene!”
1-2 febbraio 1970
Via Whitwell
in occasione del centenario.
Claudio Longo, Giampaolo Depaoli, Piero De Lazzer, Renzo Debertolis, Emilio Marmolada, Alessandro Partel.
Qui è Giampaolo Depaoli che prende la parola: “Ho sofferto molto per quello che era successo a Claudio – il congelamento del piede destro con l’amputazione dell’alluce e do, tre tocati, spiega Claudio –. Durante la notte gli ho massaggiato i piedi, abbiamo dormito con i sacchi a pelo aperti per potergli tenere il piede destro in mezzo alle mie gambe per scaldarglielo”. Il tempo, quella giornata, aveva fatto le bizze: “Il giorno prima era caldo, poi la temperatura è scesa a – 31° sotto zero”. Non c’era l’abbigliamento tecnico di oggi, tanto che Piero De Lazzer precisa: “Avevamo già la giacca di piumino, ma gli scarponi erano quelli da sloiza”.
Il Cimone gli è molto caro. Lui è di Laste, nell’Agordino, e condivide con noi il ricordo di quando, da piccolo, lo portavano in montagna nella gerla. Era affascinato dal ghiacciaio della Marmolada che gli pareva di toccare con mano e amava sentire un racconto che parlava di una guida alpina che voleva scalare il Cimone – “forse si veniva pagati bene”- e dice: “Mi piacerebbe trovare quel libro: ho sempre voluto vedere e sapere dov’era il Cimone. Poi, caso volle che venni nominato finanziere a Rolle e scalavo il Cimone anche due, tre volte alla settimana, da quanto lo sentivo mio”.
Ed eccoli ancora, tutti e quattro, a ricordare che guide alpine e finanzieri si trovavano in sintonia a scalare assieme e il bello era che non c’era rivalità, era sano affiatamento, quello che li spronava ad arrivare in vetta.
Giampaolo si emoziona un po’ quando ricorda il grande affetto che manifestava l’intera comunità quando i rocciatori partivano per un’impresa alpinistica: “C’era un coinvolgimento di tutti, era un avvenimento, mi sono sempre commosso. Tutti pronti a darci una mano. Questo spirito è durato fino al 1976 con la spedizione al Dhaulagiri”.
Un resoconto della salita ce lo propone Marco, scolaro di quarta elementare, che scrive:
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