Testo: Luciano Gadenz - Guida Alpina
Nell’antologia di arrampicate “Le Dolomiti Occidentali” di Gino Buscaini e Silvia Metzeltin (Zanichelli, 1988), introducendo il Sass Maor, si accenna a un incontro molto interessante tra Silvio Saglio e un pastore di Tonadico.
Silvio Saglio (Novara 1896 – Milano 1964), alpinista e scrittore, salì a recuperare gli scarponi di Ettore Castiglioni e Bruno Detassis che stavano aprendo una nuova e impegnativa salita sullo spigolo sud – est del Sass Maor il 26 luglio del 1934.
Castiglioni considererà questa prima ascensione tra le più significative della sua copiosa attività alpinistica, perché superò come primo di cordata il tratto iniziale più impegnativo con difficoltà di 6° grado.
Dal suo diario: “Avevo sempre dichiarato che il 6° grado non era per me: ritenevo che solo una grandissima ambizione potesse far superare il rischio e lo sforzo estremo, neppure compensato dal godimento spirituale e fisico della conquista, nell’esasperazione dello sforzo. Invece no: una lunga preparazione fisica, e soprattutto morale, e una perfetta solidarietà della cordata, mi hanno permesso di arrivare anche al limite estremo, senza arrivare al mio stile di assoluta sicurezza, senza compromettere il godimento della conquista nell’atto stesso dell’ascendere, non solo come soddisfazione posteriore.
Così anche il 6° grado è legittimo alpinisticamente, poiché si è svolto come rapporto diretto ed esclusivo tra me e la croda: anzi, mi è divenuto il rapporto di estrema tensione e quindi di estrema purezza, e anche di estrema onestà, poiché non uno dei chiodi messi per assicurazione ha servito a facilitarmi il passaggio. Questa è stata probabilmente la giornata più luminosa della mia vita, e la mia vittoria più grande e più pura. Altre imprese, anche più difficili, non sono state così puramente e pienamente vissute”.
Saglio osservò che un pastore, per non scivolare sui ripidi pendii erbosi, aveva munito le sue scarpe di suole rudimentali, ricavate da un copertone di automobile in cui aveva intagliato un profilo dentato.
Saglio, uomo di montagna, autore, redattore e coordinatore di innumerevoli pubblicazioni tra cui le Guide dei Monti d’Italia (editi da CAI – TCI) in collaborazione con lo stesso Castiglioni, ne riferì a Vitale Bramani, suo amico e compagno in montagna, nonché riferimento per il mondo alpinistico milanese (a Saglio è intitolata la scuola di roccia del CAI – SEM della città lombarda).
Il pastore era sicuramente Pietro Simion (1903 -1984) di Tonadico che passava lunghi periodi in Val Pradidali e Val Canali, preparando grandi quantità di legna e controllando le sue pecore alpeggiate sulle cenge del Vallon dei Pissoti sotto le verticali pareti della Cima Stanga e del Sass Maor.
Era sua abitudine “impalare” gli animali facendoli passare su uno stretto e verticale passaggio iniziale per poi vederli lentamente salire sui valloni sospesi alla ricerca dell’erba più fresca, periodicamente saliva poi a portare il sale. Il figlio Angelo ricorda ancora oggi queste suole ricavate da copertone d’automobile.
La zona è quella dove il sentiero attrezzato del Cacciatore sale per cenge esposte e tratti verticali, messi in sicurezza con cavi metallici.
Un articolo di Roberto Beretta sull’Avvenire del 6 agosto 2005 celebrava i settant’anni della nascita della suola Vibram che rivoluzionerà le tecniche alpinistiche: “Sembra un bel nome di battesimo per una suola destinata ad aggrapparsi a rocce e ghiacciai, un misto di grinta artigliante ogni superficie e adattamento alla precarietà dei suoli. Invece è un acrostico che sta per Vitale Bramani” VI – BRAM. L’articolo evidenzia l’importanza storica di questa innovazione nel mondo della montagna.
Saglio andò incontro a Castiglioni e Detassis che erano usciti in vetta alle 14,30 dopo nove ore di salita e al suo ritorno a Milano fece le sue osservazioni a Bramani.
Vitale Bramani (Milano 1900 -1970) faceva parte di un folto gruppo di alpinisti lombardi come Fasana, Bonacossa, lo stesso Saglio, Castiglioni e altri con cui svolse un’intensa attività tra cui una via nuova sulla parete NO del Pizzo Badile con Ettore Castiglioni e la prima ascensione dello spigolo N della Presolana con lo stesso Castiglioni e Gilberti. Vitale sarà il compagno più presente durante l’intera attività alpinistica di Castiglioni e l’ultima persona a vederlo il mattino del 10 marzo 1944 prima della tragica scomparsa.
Nel suo negozio di articoli sportivi a Milano si trovavano gli alpinisti locali, un luogo d’incontro per programmare attività future, tra i compagni di cordata anche Re Alberto del Belgio.
L’ennesima sciagura sui monti accelerò lo sviluppo del progetto di Bramani. Il 16 settembre 1935 ben sei alpinisti tra cui una donna, su un gruppo di diciannove partiti per una gita sociale della SEM (Società Escursionisti Milanesi) perirono per assideramento durante un bivacco notturno forzato sulla Punta Rasica, nel gruppo del Disgrazia, a causa del cattivo tempo. Avevano lasciato le scarpe pesanti chiodate e rigide alla base della salita, come era consuetudine, e indossavano le pedule (calzature leggere con la tomaia in cuoio o tela e la suola di solito in feltro pressato o corda, una sorta di espadrillas, chiamate sulle Pale “Scarpe de gat”). Dopo ogni scalata, erano usurate da buttare o riparare: preziose per flessibilità e presa su roccia, ma assolutamente inadatte alla progressione su neve o ghiaccio.
Bramani, che era presente, si convince che la sciagura avrebbe potuto essere evitata con calzature più adatte e inizia a studiare una suola prensile e impermeabile, leggera ma robusta, adatta ad arrampicare e nello stesso tempo idonea all’avvicinamento.
Chiede collaborazione a Leopoldo Pirelli il “guru” della gomma e sono testate varie possibilità, prima con strisce (come il pastore), poi con il famoso disegno a carrarmato che insieme alla losanga gialla della marca diverranno il simbolo della scarpa da montagna.
Il brevetto esce nel 1937 ma già nel 1936 nel mese di luglio, il fortissimo Giusto Gervasutti fu visto sui nevai del Monte Bianco senza i classici scarponi chiodati, ma con il nuovo ritrovato in gomma, creando mormorii tra le guide alpine francesi.
Era un momento di grande rivoluzione nelle tecniche alpinistiche che negli stessi anni videro altre innovazioni come il moschettone di Hans Dulfer, i ramponi con le punte davanti di Grivel di Courmayeur, il nodo Prusik dell’omonimo rocciatore e musicista (che applicò alle corde d’arrampicata il metodo usato dai suonatori di violino).
L’11 agosto 1941 la cordata di Ercole Esposito “Ruchin” effettua la prima ripetizione dello spigolo NO della Pala del Rifugio, una via di Castiglioni – Detassis del 1934, e un articolo sulla rivista “Lo Scarpone” sottolinea che calzavano scarponi Vibram; quattro giorni dopo, lo stesso Ruchin con due compagni apriva una nuova via sulla stessa cima.
Da quel momento, il successo di Vibram divenne inarrestabile nel mondo alpinistico e progressivamente il marchio è divenuto sinonimo di sicurezza anche per calzature outdoor portando la Vibram Spa a divenire azienda leader mondiale nel settore delle suole in gomma con continui modelli nuovi.
Per generazioni di amanti della montagna questo marchio sarà sinonimo di scarpone e di tecniche di progressione su ogni ambiente.
Con un successo di tale portata, Bramani è entrato nella storia dell’alpinismo quasi solo in acrostico e in punta di piedi, ma a noi amanti delle Pale di San Martino piace ricordare con simpatia il pastore del Sass Maor precursore di tale rivoluzione tecnica.