Testo: Narci Simion - Guida Alpina
La storia di Giuseppe Zurlo madonnaro di montagna
La storia vuole che la signorina Giovanna Gobber (fu Ambrogio), nata nella frazione di Gobbera nel comune di Canal S. Bovo, incrociasse il suo destino, nel distante Vorarlberg in Austria, con quello di Giuseppe Zurlo (fu Andrea), classe 1884, originario della Valsugana ma, come riportato nel suo Ausweis, “dimorante” nel Vorarlberg e di professione “madonaro”.
Si sposarono nel gennaio del 1908 e dal loro matrimonio nacquero otto figli, una femmina, che morì ancora neonata, e sette maschi: Ambrogio e Andrea nati in comune di Canal San Bovo, Angelo nato a Bürs (distretto di Bludenz nel Vorarlberg), Attilio invece a Zell am See (Salzburger Land) mentre Beniamino, Cornelio e Luigi nuovamente nel comune di Canal San Bovo.
Ma cos’era precisamente il lavoro di madonnaro? Era un’attività artigianale rara, tramandata da padre in figlio, che si basava sulla produzione in proprio e sulla vendita ‘porta a porta’ di statuette o bassorilievi dipinti a mano a soggetto religioso. Il nostro madonnaro Giuseppe Zurlo, nella realizzazione dei suoi manufatti, doveva inizialmente creare il prototipo originario della statua che, una volta rifinita e ritenuta idonea, veniva poi rivestita con un involucro esterno entro il quale veniva versata una colata di pece calda, per riempire il vuoto rimasto tra la scultura e l’involucro.
La pece, solidificata, veniva poi sezionata e staccata dal prototipo, diventando così una preziosa matrice negativa composta da due o più elementi.
Entro la matrice ricomposta veniva colato del gesso da presa semifluido; quando quest’ultimo induriva si riapriva la matrice, ottenendo una copia ‘grezza’ del prototipo originario: questa operazione era ripetibile per la produzione consecutiva di un numero pressoché illimitato di pezzi. Era infine necessario lisciare le sbavature, rifinire le facce, dipingere gli abiti, gli occhi, le labbra, le ferite sanguinanti, le ali e i raggi dorati e, per concludere, si verniciava il tutto per proteggere il manufatto dall’umidità: la statuetta, a questo punto, era da considerarsi finita e pronta per la consegna.
Per avere successo commerciale, il madonnaro doveva possedere notevoli doti di disegno e composizione, abilità scultorea e raffinate capacità decorative con pennelli, colori e vernici. L’attività ambulante del madonnaro aveva alcune peculiarità: la semplicità tecnologica con cui egli doveva operare durante i lunghi periodi di trasferta, l’uso di materiali facilmente reperibili dovunque e l’utilizzo di strumenti leggeri da trasportare a spalla, per poter realizzare velocemente le ordinazioni raccolte.
Questo lavoro ambulante imponeva però a Giuseppe Zurlo lunghi trasferimenti, talvolta assieme ai familiari, nelle vallate alpine cattoliche delle varie province austroungariche del Tirolo, Sudtirolo, Vorarlberg, Salisburghese, Carinzia e Friuli, in un continuo girovagare alla ricerca di nuovi mercati. “Scuséne se vegnon a vender Gesù Cristo” era questa la frase consueta che utilizzavano quando bussavano alle porte delle case, per non offendere la sensibilità religiosa dei proprietari e per farsi perdonare la “mercificazione” dei simulacri religiosi che provavano a vendere.
Poco alla volta il nostro Zurlo riuscì a mettere da parte una considerevole fortuna economica tant’è che, nel 1911, a soli 27 anni di età, poté acquistare un’ importante proprietà agricola in località Barbine, nei pressi della Gobbera, composta da immobili, stalle, fienili, prati e campi, assieme ad un esteso appezzamento di bosco. Rimaneva anche proprietario dei fabbricati in località Saline della Gobbera, che diventarono il vero e proprio laboratorio artigianale di produzione. Essendo di origini “valsuganotte” egli piantò un frutteto con varietà di susine e pere mai coltivate prima nella Valle del Vanoi e successivamente, con spirito sempre innovativo, stipulò una polizza di assicurazione degli immobili contro “l’incendio e la caduta del fulmine” con l’Istituto Provinciale Incendi di Trento, per un “valore di classe” di ben 27.200 lire dell’epoca.
Dopo la prima guerra mondiale, persi i mercati d’oltralpe, insieme ai figli ormai cresciuti si trasferì in provincia di Bergamo e percorse le valli del Trentino orientale, le valli bresciane e le vaste zone pedemontane lombarde nella continua ricerca di commesse.
I primi figli Ambrogio e Andrea continuarono l’attività ambulante anche dopo il ritiro del vecchio padre Giuseppe, che morirà alla Gobbera nel 1953. Ambrogio, in seguito, cambiò occupazione lavorando come imbianchino e commerciante mentre Andrea, accasatosi in Val di Cembra, resistette fino agli ultimi anni ’60, periodo nel quale abbandonò gradatamente questo singolare mestiere di artigiano girovago, che aveva però garantito prosperità e benessere a due generazioni di Zurlo, intraprendenti madonnari del Primiero.