Testo: Narci Simion - Guida Alpina
Maurizio Zanolla, meglio conosciuto come Manolo, primierotto di adozione, fin da giovane, è stato un sovvertitore dei limiti estremi delle difficoltà di arrampicata ed è tuttora reputato uno dei massimi scalatori contemporanei. Anche lui Guida Alpina, in questa intervista ci parla delle sue ‘storiche’ salite lungo le vertiginose pareti del Sass Maor.
In che anno hai salito il Sass Maor per la prima volta? Per quale via e chi erano i tuoi compagni? Da quanto tempo arrampicavi?
La mia prima via sul Sass Maor è stata la Solleder con variante Bettega credo nel 1975. Il compagno era Roberto De Bortoli detto Bob e arrampicavo da un anno circa.
Potresti elencarmi quali altri vie (classiche) hai salito cercando di ricordare date e compagni?
Lo spigolo Castiglioni, da solo, più o meno in quel periodo, la Scalet Biasin, con Cesare Levis, Diego Dalla Rosa e Nivio De Bastiani nel 1978 (in due cordate separate… io ero con Cesare) la Franzina Scalet, e la Laritti (Boh?) Forse una con Bussolot (Aldo Bortolot ndr ) e una con Giuliano Secco … Supermatita con Piero Valmassoi,
Raccontami della Biasin… l’avevi liberata alla prima salita o sei ritornato?
No, nella prima salita con Cesare Levis ero riuscito a “vista e in libera” fin quasi in cima, ma i tre metri finali, quel giorno, mi avevano respinto. Salita riuscita solo l’anno successivo, mi sembra con Pol (Paolo Loss, ndr) e credo che insieme al Gran Diedro in Tognazza, salito con te, siano state le massime difficoltà raggiunte in quell’anno.
In Dolomiti non c’erano ancora difficoltà così elevate e onestamente nemmeno in falesia ma non vorrei che questo suonasse come una nota esagerata…
Come hai concepito la Supermatita e quanto tempo è intercorso prima di realizzarla? In due riprese o direttamente dalla Portela?
Quell’estate lavoravo al Rifugio Pradidali e, a parte qualche concessione, non potevo allontanarmi molto. Attorno però avevo già esplorato e salito quasi tutte le cime, tanto da pensare che non rimanevano ancora molte cose da fare, o almeno era quello che mi sembrava in quel periodo. Così la mia attenzione, dopo aver salito quello che sembrava possibile e senza l’uso dei chiodi a pressione, si è concentrata su quel progetto. C’era un grande spazio libero in quella parete, sia fra gli strapiombi in alto, sia nella parte bassa, questo offriva la possibilità di tentare una salita in libera, ma con i chiodi normali non era scontato riuscirci, nemmeno cercando i punti più deboli.
Era, e per me lo è ancora, la parete più impressionante delle Pale, nonostante la Banca Orba mitighi molto la sua repulsività. Però in quel periodo di giovinezza e follia creativa tutto quello che era repulsivo, diventava meraviglioso e attraente, e passò pochissimo tempo dalla visione alla realizzazione. Purtroppo il giorno concordato per la salita non elargiva promesse azzurre e la decisione fu di non sprecarlo provando a salire almeno la parte alta che stimavamo decisamente più impegnativa. La pioggia prevista e inevitabile quel giorno arrivò, ma quando eravamo ormai in alto fra gli strapiombi, dove non poteva bagnarci, mentre lottavamo per uscire da quel posto da dove non potevamo più tornare indietro.
Non ricordo esattamente quanto tempo sia trascorso prima di completare la parte bassa ma credo quindici, venti giorni circa e tutto è stato più facile del previsto su quella roccia straordinariamente solida e lavorata.
Riflettendo sulla salita, credo che in quel periodo di follia solo Piero poteva seguirmi su quella parete, dove alla fine abbiamo usato solo sette chiodi per quei quasi 1200 metri di sviluppo, lasciando solo una traccia sottile come il tratto di una matita …che ne segnò anche il nome.
Questo è apparso come qualcosa di esageratamente incosciente e in parte può essere vero; Supermatita è considerata, non tanto per la difficoltà ma per concezione e stile di apertura, una delle più impegnative salite di quel periodo, ma per me non lo fu affatto. Avevo ormai maturato nuove esperienze in falesia e sui massi che mi avevano aperto a consapevolezze e difficoltà diverse.
Veniamo alla Nureyev: che intervallo (anche tecnico-mentale) era trascorso dalla Super matita?
Quasi quindici anni, ma che contenevano un’accelerazione di cambiamenti notevolissima: materiali, concezioni, etica, ecc …
La salita di Nureyev con Walter Bellotto. (in apertura mi avevano assicurato Andrea Tremea e A. Bertinelli). Credevo che la salita di Nureyev fosse possibile anche in stile classico, ma avevo qualche dubbio per il compatto muro finale che presentava una forte incognita; non era facile comprendere quante possibilità offriva ai chiodi normali. Mi sono calato per ispezionare quel tratto accompagnato da Mariano Lott (che al tempo gestiva il Rifugio del Velo) ma senza il materiale adeguato per rimanere attaccato a quella sezione strapiombante sono stato costretto ad usare un paio spit.
In quel periodo, alcuni scalatori incominciavano ad irrobustire le soste o integrare le protezioni con spit anche sulle vie classiche, cosa che non condividevo e non ho mai condiviso. Questi atteggiamenti li avvertivo e li avverto come una mancanza di rispetto verso i primi salitori. Un modo di rubare l’anima a vie e a momenti che hanno una storia da rispettare e ricordare, importanti anche per imparare a non dimenticare.
Da qui la decisione di fare una grande provocazione e far riflettere sull’abuso di questi chiodi. Sembrava un contrasto perfetto farlo nella stessa parete dove avevo aperto una via in un modo completamente diverso, con un’etica di assoluta “pulizia” usando solo una manciata di chiodi.
Non è servito, ho solo perso una possibilità di divertirmi un po’ di più, perché le cose sono andate avanti per conto loro e gli spit hanno fatto sempre più la loro comparsa sulle vie classiche e nessuno ha mai preso una decisa posizione contro questa tendenza. Almeno in queste montagne (nostre?). Nureyev l’ho tentata anche in solitaria ma mi sono ritirato dopo il quarto tiro difficile per colpa della pioggia. Quel giorno ho rischiato moltissimo perché nella prima lunghezza strapiombante e impegnativa dopo la rottura di un appiglio sono rimasto appeso per sole due dita sopra quell’abisso e solo un’enorme fortuna mi ha permesso di non caderci dentro. Cosa che mi ha fatto riflettere seriamente sulla mia abitudine di scalare slegato.
Quali nuove concezioni nell’apertura di vie, attrezzature, stili, ecc. Considerazioni a posteriori?
Ripetere alcune vie difficili attrezzate a spit in montagna aperte da Kammerlander, Schell, Larcher, ecc. mi ha incuriosito, ma a parte quella parentesi provocatoria (la via Nureyev ndr) non avevo più ripreso in considerazione questa possibilità e ho continuato a chiodare con gli spit in falesia e aprire in modo tradizionale in montagna. Fino al giorno in cui ho deciso di comprendere cosa davvero significasse aprire una via in quel modo. Era fuori dubbio che erano vie straordinariamente belle e su roccia solidissima… ma proprio per questo improteggibili con mezzi tradizionali.
Questo mi ha permesso di avvicinarmi ad alcune pareti che non avevo avuto il coraggio di affrontare tradizionalmente, ma per farlo, ho scelto montagne minori dove c’erano già itinerari aperti in questo modo. Sono state esperienze utili ed interessanti che mi hanno portato a nuove riflessioni. Non è sempre così facile aprire nuove vie in questo modo e nemmeno così scontato. Dipende sempre molto dall’etica scelta nell’apertura ma senza entrare in questo vischioso argomento credo che alla fine forse non è lo spit che cambia le cose ma come lo usiamo. Anche se col senno di poi averlo o non averlo… cambia completamente.
Attualmente il Sass Maor: eventuali progetti, idee, opinioni?
Sono ritornato molte volte su questa montagna, come in molte altre ma mai su Supermatita e forse rimarrà fra quelle poche vie che voglio continuare a ricordare solo con gli occhi di allora.
Non ho progetti su questa montagna e ormai sempre meno anche sulle altre. Una cosa è certa, il livello degli arrampicatori è salito moltissimo raggiungendo traguardi inimmaginabili fino a pochissimo tempo fa e questo mi fa pensare che per quelli che lo vorranno ci sia ancora molto spazio. Forse.. quello che ora appare impossibile come sempre diventerà realtà.
Un esempio di questo alpinismo ad altissimo livello può essere quello del fuoriclasse austriaco David Lama che dopo aver abbandonato le competizioni da protagonista ha seguito la sua strada fuori dai luoghi comuni e dalle mode con coraggio per seguire i propri sogni e le proprie passioni.
Le nuove generazioni hanno ancora spazio e credo che continuando ad essere curiosi non occorrerà nemmeno andare troppo lontano ma questo dipende anche da cosa avremo lasciato.