Testo: Mirco Gasparetto | Foto: a cura di Narci Simion - Guida Alpina
“(…) Qui le tre guide richieste dal numero dei partecipanti, fra cui la maggior parte era nuova alle arrampicate, ci attendevano: Domenico e Carlo Scalet e Valentino Zecchini… famiglie di guide note e brave.”
I fratelli Scalet “Nanini”
Come in ogni altra Ars umana, anche il mestiere di guida alpina, fin dagli inizi, non produsse soltanto famose eccellenze. I rari fuoriclasse emergevano comunque da un ristretto ambito sociale, esperto dei luoghi, che si stava rapidamente organizzando e strutturando di pari passo all’evoluzione turistica innescata sulle Dolomiti. Uno sfondo vivacizzato da non poche abili figure, artigiani o agricoltori, comunque tutti scaltri cacciatori, che seppero lasciare un loro segno tra vette, forcelle e pareti. E se sulle Pale di San Martino, come abbiamo già visto, gli outsider portavano i nomi di Bettega, Zecchini, Zagonel e Tavernaro, le quattro celebri “Aquile”, nondimeno si mossero con abilità e costanza pure altre guide alpine primierotte. Tra queste Domenico e Angelo Scalet, due fratelli di Transacqua che divennero i capostipite di una lunga dinastia di guide; professione che in quel lontano frangente si stava diffondendo, proponendosi quale ulteriore risorsa economica.
Il destino purtroppo non fu certo benevolo con Angelo Scalet. Nato nel 1885, sposato con Andreanna Scalet e padre di undici figli, perse la vita a cinquant’anni, il 6 dicembre 1935, investito da un tronco d’abete che scivolò dal suo carro mentre transitava sulla strada del Passo Cereda. Per contro, il ben più anziano Domenico, classe 1872, dieci figli, Bergführer autorizzato nel 1899 dall’Imperial Regio Capitanato distrettuale di Primiero, svolse l’attività di guida alternandola a quella di falegname per oltre un trentennio, divenendo effettivo “patriarca” degli Scalet “Nanini” che in seguito si fregiarono del distintivo di guida alpina.
Proprio per il fatto di non essere di Domenico Scalet e ancor più di suo fratello Angelo, che pare esercitasse in modo più discontinuo, raramente finivano tra le cronache dei vari periodici del tempo. Se a questo aggiungiamo pure l’irreperibilità dei personali libretti di guida, in cui chi li ingaggiava appuntava le note salienti delle proprie escursioni (vera fonte primaria per lo storico dell’alpinismo), ecco che risulta alquanto difficile ricomporre, se non per sommi capi, la loro storia d’alta quota. Per ritrovare qualche dato utile occorre seguire piste secondarie, alternative, confidando anche in qualche colpo di fortuna.
Se oggi la figura alpinistica di Angelo Scalet sembra irrecuperabile, clamorosamente persa quasi appartenesse a un improbabile “inverno storico”, nel caso di Domenico Scalet qualche spunto interessante emerge seguendo le tracce pionieristiche di Giulio Vianello (1874-1956), un medico trevigiano che si dette parecchio da fare sulle Pale. Rispettosamente conosciuto come “el dotòr”, fondò e presiedette per quarant’anni la Sezione del CAI di Treviso (1909) oltre a rilevare, ristrutturare e donare allo stesso sodalizio cittadino i due rifugi della Sezione di Dresda del DOeAV requisiti dal Demanio militare appena dopo la Grande Guerra, ovvero la Canali-Hütte e la Pravitali-Hütte (1924).
Tra l’ultimo scorcio dell’Ottocento e i primi anni Trenta, Vianello esplorò infaticabilmente la nebulosa Catena meridionale delle Pale, dove ancora oggi è ricordato dal noto Sentiero del Dottor. Infatti fu lui, in prima battuta con la guida agordina Agostino Murer Bèda (1913), poi con la vecchia “Aquila” Giuseppe Zecchini (1924), a percorrere e successivamente attrezzare il passaggio diretto tra Val d’Angheràz e Val Canali, via Forcella dell’Orsa.
Per questione generazionale e abito mentale, Vianello conobbe e frequentò parecchie guide alpine, tra cui proprio Domenico Scalet. Con lui salì non poche vette, coltivando un’amicizia che durò fino a tarda età. Presso la Sezione del CAI di Treviso, dove oggi risiede l’archivio di Giulio Vianello, si trova custodito, fra l’altro, anche il “santino” che la famiglia di Domenico Scalet stampò e distribuì all’atto delle sue esequie (1939) e che l’alpinista trevigiano conservò per sempre tra i suoi ricordi. A tal proposito sono cariche di suggestioni, e non solo perché si tratta della prima annotazione in lingua italiana, le brevi righe scritte la sera del 12 luglio 1910 sul Registro degli ospiti della Pravitali-Hütte: “Da S. Martino di Castrozza, traversata la Pala di San Martino. Domani salita al Sass Maor e Pala [Cima] Madonna. Guida Domenico Scalet. [firmato] Dott. G. Vianello.”
Ma con Scalet, talora in sodalizio con il più famoso Bortolo Zagonel, “el dotòr” salì pure il Cimon della Pala, si cimentò con il Cusiglio e con la Rosetta “per davanti”, ovvero con la sua verticale parete sud-ovest, quindi traversò una prima volta il Sass Maor e compì l’abbinata Campanile-Cima Val di Roda (30 settembre 1908, 5a traversata italiana). Peraltro, proprio quest’ultima ascensione sembra rappresentare una “classica” per Domenico Scalet visto che, almeno fino al 1914, ultima stagione documentata dal Registro del rifugio, non passava estate senza che avesse accompagnato qualche cliente sulle due contigue vette.
È dunque tra le righe dei resoconti alpinistici di questo medico trevigiano che si può trovare traccia della riservata guida alpina di Transacqua.