Testo: Luciano Gadenz

“Le donne mettevano la lana a bagno nell’acqua fredda, mentre le pecore, appena tosate, quasi scontrose, tornavano al pascolo;”

“La lavavano più e più volte fino a renderla candida, stendendola quindi sui poggioli esposti o lungo le staccionate (i stropi) al sole perché si asciugasse. File di donne si avviavano allora al Fol”.

Così scriveva il maestro Luciano Brunet su “Di sentiero in sentiero” (Tipolitografia Castaldi, Feltre, 1981) e continuava: “Le gnodole scendevano con le gerle, dove non voleva più stare la lana e ridondava di qua e di là; lungo la strada, le brave donne a recitare il Rosario per avere la grazia di un buon viaggio”.

Tutto era iniziato agli inizi dell’800, come racconta don Stefano Fontana sulla rivista “Trentino”, nel 1941: “Nel 1805, Nicolo Guadagnini con la sposa Bona Gabrielli lasciò Predazzo per trasferirsi in Primiero a esercitarvi l’arte della tintura nel paese di Mezzano. Nel 1808 (la vedova) comprò presso Ormanico un edificio in misero stato, che racchiudeva la sua industria e ne portava il nome: il Fol. Quel luogo appartato, ravvivato dallo scroscio dell’acqua e dal rumore delle ruote, fu la culla della stirpe dei Guadagnini di Primiero”.

Una delle donne che lavorò in questa industria tra le più fiorenti della valle è Erminia Depaoli, ultra novantenne di Tonadico, classe 1924.

Iniziò, poco più che quindicenne, nel 1939 e vi rimase fino alla fine del ‘46, quando, dopo il ritorno del suo moroso dalla prigionia in Austria, si sposò nella primavera del ’47. Il periodo coincide con la Seconda Guerra Mondiale. Il lavoro era molto prezioso, svolto a ritmo continuo, giorno e notte a turno, anche quando c’era il coprifuoco, con un’autorizzazione e con il controllo dei gendarmi.

Ricorda la nascita dei figli del titolare, il signor Francesco: Valentino nel ’39 e Luciano nel ’43, mentre la figlia Elvira del ’29 era una giovane ragazza che già aiutava nel lavoro, come la nonna Margherita addetta al negozio dove erano ritirati i prodotti lavorati.

Una delle donne che lavorò in questa industria tra le più fiorenti della valle è Erminia Depaoli, ultra novantenne di Tonadico, classe 1924.

Era addetta ai rulli della cardatura che giravano a ciclo continuo e non poteva fermarsi. Il cibo le era portato da casa dalla sua giovane sorella Giuseppina quando si recava a scuola. Una piacevole interruzione del lavoro era il blocco delle ruote motrici dovuto a violenti temporali che intasavano la rosta (roggia) con rami e altro materiale. 

Il titolare Francesco, di solito molto autorevole, era anche molto comprensivo, ma spesso le gnodole (le donne di Sagron Mis) e le canaline (del Vanoi) aspettavano impazienti la riconsegna delle loro matasse di lana, fermandosi anche la notte, rendendo il lavoro più serrato.

Eravamo in tante e ci davamo il cambio, ne ricordo alcune: Genia Zagonel del 22, Maria Turra del 22, Paola Debertolis del ‘26 che aiutava alle matasse, e poi Nives, Lidia, Tina di Ormanico e Lina Pera che era alla filatura ed era pagata a cottimo. Francesco, il titolare, curava la tintura e i tessuti venivano stesi ad asciugare nel vicino prato di proprietà, di fronte alla filanda.  Al piano terra c’erano i rulli della cardatura, mentre al piano sopra era la filatura. La lana veniva portata già lavata, veniva oleata e poi battuta prima di passarla ai rulli. Il primo era piccolo e faceva una pressatura, si passava poi al più grande, da cui usciva come un materasso di lana cardata e pettinata, soffice e leggera, che in un terzo rullo era ordinata in fili grossi o sottili, poi di sopra in un altro apparecchio finiva nelle matasse e questo era il passaggio più delicato perché i fili rischiavano spesso di aggrovigliarsi. Dopo la tintura molti tessuti erano lavorati a Mezzano sui numerosi telai, mentre le gnodole ritiravano le matasse per lavorarle a casa con le proprie mani. Il lavoro era proprio duro e impegnativo ma se cognea, mus par forza, e questa è stata la mia gioventù”.

L’attività continuò fino al 1966 finché l’alluvione non distrusse tutte le opere di presa dell’ acqua, costringendo il lanificio alla chiusura definitiva.

Aquile Magazine