Testo: Manuela Crepaz
Gaia Boni è un’eclettica artista che vive in Lombardia e non ha mai reciso il cordone ombelicale che la lega alle montagne di Primiero, dove è nata e cresciuta.
“Il 5 gennaio di vent’anni fa ho iniziato ad appartenere alle mie montagne”. Comincia così il racconto biografico di Gaia Boni, classe 1995, poliedrica artista primierotta trapiantata in Lombardia, che continua: “Ritorno, ritornerò sempre nella Valle di Primiero che è casa e origine, dove i miei boschi mi aspettano e le Pale di San Martino mi parlano, nella loro sublime enrosadira”.
Ha vissuto ad Imer fino al duemila, quando si è trasferita altrove, lontana, senza la Valle né i boschi; in compenso ha frequentato il Liceo artistico B. Munari di Crema che l’ha formata, cresciuta, allevata e lasciata andare.
Lì, come le piace raccontare, ha incontrato e accolto persone meravigliose che le hanno insegnato più di quanto potesse sperare. Dall’ottobre 2015 l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo è diventata la sua nuova strada, casa, maestra. “L’arte mi accompagna da sempre, fin da piccola, tra pennarelli e pastelli, ad oggi dove l’uso della fotografia mi è essenziale, così come la poesia, il gesto di scrittura e il gesto dello scatto come esorcizzazione dei miei istinti, delle mie espressioni”. Espressioni intese nel significato latino del termine, expremere, spingere fuori l’interiorità psicologica che necessita di uscire alla luce.
Ho scoperto Gaia fotografa attraverso le sue opere esposte in una galleria d’arte di Seattle ed ho subito pensato ad Aquile Magazine, che ospita uno spazio dedicato agli artisti che gravitano nell’orbita primierotta e, guidati dalle loro ambizioni e capacità, hanno superato gli angusti confini valligiani. Mi è infatti capitato fra le mani il catalogo della galleria, MIXT, diretto da Netra Nei, che spiega la scelta di esporre le opere di undici fotografi europei contemporanei, tra cui, appunto, Gaia: “MIXT has refined into a collection of experimental European contemporaries whose tread of commonality is their focus on the ordinary and mundane and who have a keen awareness – wheter consciously or culturally influenced – for early 20th century European art styles, especially Surrealism and Modernism” (MIXT si è perfezionato in una collezione di contemporanei europei sperimentali il cui filo conduttore è il focus sull’ordinario e il mondano e che hanno un’intensa consapevolezza – sia intenzionalmente che influenzata culturalmente – per i primi stili artistici europei del XX secolo,
specialmente il Surrealismo e il Modernismo”, ndr).
Quando ho contattato Gaia, la prima ovvia domanda è stata cosa trova quando si tuffa a capofitto nell’arte. E lei mi ha risposto, pronta: “Utilizzo fotografia e poesia per comprendermi meglio. Risulta più semplice guardare qualcosa dall’esterno, da esterni alla situazione, e così tento di fare con i miei scatti e i miei scritti: cerco di guardare l’interno dall’esterno, per capirmi e carpire anche le briciole più nascoste delle emozioni – negative e positive”.
Un altro aspetto del linguaggio dell’arte che le appartiene è la musica: canta da quando ha memoria, canticchia sul treno la mattina, per i corridoi dell’accademia, al supermercato, sotto la doccia no. Canta jazz/jazz manouche, bossanova, altri brani di cantanti straordinari quali Mina – le loro due voci si assomigliano molto – e non disdegna classici quali Simon&Garfunkel, “accompagnata prima magnificamente da un solo chitarrista, a cui devo moltissimo, e ora con un gruppo di sei splendidi componenti”.
Ciò che rende Gaia originale, è come crea le proprie fotografie: usa infatti la tecnica dell’autoscatto, provando e riprovando, controllando l’obiettivo finché trova la giusta inquadratura. Poi, fa un paio di prove, scatta e va d’istinto. “Da una quarantina di scatti trovo sempre quelle quattro, cinque foto che mi soddisfano”.
Utilizza una Nikon D80 della mamma, una reflex con due obiettivi, anche se usa prevalentemente quello base, il 55 millimetri. All’inizio della sua carriera, non aveva neppure un cavalletto: si arrangiava in casa con quello che trovava, come pile di libri. “Poi, mi sono semplificata la vita”, racconta. Il suo primo set fotografico è stata casa sua, disfando il soggiorno: “Tolgo tutto: quadri, mobili, suppellettili, tappeti” alla ricerca di un grande spazio bianco. Non ritocca mai le immagini, interviene invece sulla luce in postproduzione, aumentando i bianchi perché casa sua non è molto luminosa; oppure, toglie un eventuale velo di polvere scappato al piumino o il segno lasciato da un quadro sul muro.
Ultimamente, lavora all’aperto, con un progetto relativo alle montagne, nello specifico, le Pale di San Martino, dov’è nata e cresciuta. “Ho già provato all’interno e far sì che io diventassi montagna, e il risultato mi è piaciuto molto. Ora voglio lavorare a contatto con la natura, con il concetto di vedere come le montagne sono legate al mio corpo”.
Per questo suo nuovo progetto open air si fa aiutare da mamma e papà, indicando loro esattamente come fare: “Mi piace essere solo un elemento, voglio tanta natura in foto e non ce la faccio con l’autoscatto all’aperto. Cerco allora di spiegare come devono fare, ma è difficile, perché non vedono con il mio occhio”.
Il questionario di Proust
Il tratto principale del mio carattere L’ipersensibilità
La qualità che desidero in un uomo La sincerità
La qualità che preferisco in una donna L’indipendenza
Quel che apprezzo di più dei miei amici La fedeltà
Il mio principale difetto Testardaggine
Il mio sogno di felicità Avere una casa piena di libri, uno studio da sfruttare per le fotografie e i dipinti, una stufa, delle piante, le montagne dietro casa, l’affetto
La mia occupazione preferita Amare
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia La morte dei miei genitori
Quel che vorrei essere Capace di comprendermi
Il Paese dove vorrei vivere L’Italia è il mio paese, Vienna la mia città
Il colore che preferisco Blu (e tutte le sue tonalità e sfumature)
Il fiore che amo Stella alpina
L’uccello che preferisco Gracchio alpino
I miei autori preferiti in prosa Thomas Mann, Simone De Beauvoir, Marguerite Yourcenar, Haruki Murakami, Virginia Woolf, Italo Calvino
I miei poeti preferiti Paul Valéry, Paul Eluard, Paul Celan, Alda Merini, Antonia Pozzi, R. M. Rilke, Giacomo Leopardi
I miei eroi nella finzione Alceste, Gustav Aschenbach
Le mie eroine preferite nella finzione Alceste, Didone, Lisabetta da Messina, Jane Eyre, Lady Oscar
I miei compositori preferiti Johann Strauss (figlio), S. V. Rachmaninov, Erik Satie, J. S. Bach, Franz Liszt, D. D. Šostakovič, Domenico Scarlatti, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Franz Schubert, Ryuichi Sakamoto, Philip Glass
I miei eroi nella vita reale Ernesto Che Guevara, Rivoltoso Sconosciuto di piazza Tienanmen, Giordano Bruno, Gino Strada
Le mie eroine nella storia E. G. Pankhurst, Giovanna d’Arco, Ipazia, Elisabetta I
I miei nomi preferiti Ginevra, Isabella, Virginia, Giacomo, Enea
Quello che detesto più di tutto L’ignoranza che provoca l’odio
Il personaggio storico che disprezzo di più Josef Mengele
L’impresa militare che ammiro di più Sono pacifista, ma se proprio devo scegliere, direi Santa Clara (Cuba)
La riforma che apprezzo di più Suffragio universale
Il dono di natura che vorrei avere La facilità nel comprendere le scienze e manipolarle
Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza “Rubare quando si ha fame”, crimini involontari
Il mio motto “Un’anima indocile”