Cover Stories, Le guide Storiche

Bortolo Zagonel, l’Aquila più giovane

Testo: Mirco Gasparetto | Foto: a cura di Narci Simion - Guida Alpina

Esordi di una Guida Alpina Moderna 

Il 2 agosto 1893 la sottile cima della “più piccola delle torri del Vajolet” accoglie la sua terza cordata, dopo la superlativa vittoria solitaria del diciassettenne Georg Winkler, avvenuta ben cinque anni prima. A quest’ultimo, infatti, erano succeduti gli amici ed adepti “senza guida” Robert Hans Schmitt e Albrecht von Kraft (l’11 settembre 1889, che battezzarono la torre), quindi la guida ampezzana Antonio Dimai Dèo con il berlinese Leon Treptow (30 giugno 1893).

In quel frangente, sulle Dolomiti, salire la Winkler significava accarezzare l’estremo limite della difficoltà alpinistica; oltrepassare un varco prima di tutto filosofico, aperto proprio dalla giovanissima generazione di arrampicatori di stanza tra Monaco e Vienna. Ma quel 2 agosto 1893, esattamente 31 giorni dopo la salita DimaiTreptow, ecco comparire una figura nuova nell’elitario florilegio: a condurre brillantemente in cima alla Winkler il dottor Willy RickmerRickmers, di Brema, è la guida Bortolo Zagonel da Tonadico, coadiuvato da Antonio Tavernaro, di Siror.

Allora Bortolo Zagonel aveva venticinque anni, e nella contemporaneità degli eventi è il sagace quanto esperto alpinista tedesco Theodor Wundt (le cui divulgazioni rimangono centrali per chi si interessa d’alpinismo del passato) a tratteggiarne la personalità.

Siamo agli sgoccioli del 1892, e al più giovane del celebre quartetto di guide alpine operante a San Martino, Wundt dedicherà poche ma profetiche righe… nato nel 1868, guida dal 1889, ha fatto la prima e finora unica scalata della Rosetta dalla parte occidentale.

Nell’occasione, con Zagonel e Crescini c’è ancora Antonio Tavernaro, …reduci da una caccia al camoscio alla Forcella del Cusiglio, come appunterà Ettore Castiglioni una quarantina d’anni dopo. È già passata l’una del pomeriggio e i tre, giunti sullo stretto valico, vengono attratti dalla grande parete che li sovrasta, iniziando ad arrampicare fino a raggiungerne la parte alta.

È un giovane aperto, amabile e modesto. Eccellente arrampicatore com’è non ha paura dei luoghi più impervi, non teme i rischi e come guida in futuro raccoglierà dei grandi allori. 1 Del resto Wundt conosceva le migliori guide dolomitiche del periodo e quindi s’avvaleva d’un buon metro di confronto. Soprattutto, aveva salito il Cimon della Pala con Bortolo Zagonel il 27 settembre 1892, ed ebbe modo di leggere sul suo libretto di guida alcune interessanti annotazioni, tra cui quelle del noto fotografo e viaggiatore biellese Vittorio Sella… Zagonel mi serviva come guida e portatore del mio pesante apparecchio di fotografia alla Pala di S. Martino, dimostrando di essere abile sul salire le rocce.

Egli è inoltre di carattere allegro e piacevole. Lo raccomando agli alpinisti… e in particolare quelle vergate da Arturo Crescini, non solo medico condotto tra Imer e Canal San Bovo ma pure ambizioso alpinista che, appena una settimana prima, aveva portato a termine con la guida di Tonadico la prima ascensione della parete sud-ovest della Rosetta, quella che s’alza dritta su San Martino…

a mio giudizio l’ascensione della Rosetta da questa parte presenta tutti i camini e passi e traversate difficili delle Dolomiti di questa Vallata e delle limitrofe prese assieme (…) Caro Zagonel, sempre coraggio e sempre avanti e voi con tutti i Vostri pregi diverrete fra breve il desiato di tutti. La pista mediatica in favore di Zagonel si era dunque aperta e il suo futuro stava per tingersi di rosa.

Proprio la prima ascensione da sud-ovest della Rosetta per gli intonsi “camini di sinistra”, quelli che incidono la parete incombente sulla valle del Cismon, è il primo atto significativo compiuto dalla giovane guida alpina; il primo “strappo” verso un alpinismo di stampo moderno, proprio come quello praticato dai “terribili” senza guida.

Qui risalgono l’estremo ramo sinistro di un complesso nodo di camini a vaga forma di “Y”, che rappresenta la chiave della salita.
Dopo essere sbucati in cima vincendo notevoli difficoltà, il gruppetto scende per il mansueto versante nord fino al ricovero della Rosetta, che la SAT aveva costruito solo qualche anno prima e qui, con orgoglio, scrivono la relazione sul libro del rifugio.
Che la parete sud-occidentale della Rosetta fosse una sorta di prezioso “scalpo” alpinistico, è dimostrato da un vivace balletto di pretendenti che allora sfilava tra le più estetiche vette dirimpetto a San Martino. Nella seguente estate 1893 la cordata Dimai-Treptow, quella che anticiperà Zagonel di qualche settimana sulla Torre Winkler, compie la prima ripetizione (spacciata inizialmente come prima ascensione) dello stesso “camino di sinistra” della Rosetta.

Nonostante non si trattasse della prima ascensione, il suo nome rimase comunque legato alla salita e a quel camino, tanto che ancora oggi la “via Garbari” è l’itinerario che viene comunemente seguito per salire la parete sud-ovest della Rosetta. Nonostante non si trattasse della prima ascensione, il suo nome rimase comunque legato alla salita e a quel camino, tanto che ancora oggi la “via Garbari” è l’itinerario che viene comunemente seguito per salire la parete sud-ovest della Rosetta.

L’11 agosto sarà Giuseppe Zecchini, altra ben nota guida di Primiero (v. Aquile 1/2014), a muovere verso gli stessi camini insieme al giovane rampollo milanese Gilberto Melzi, che però ricorderà di come la sua guida… ispirata da non so quale bellicoso sentimento, mi offriva, fra il serio e lo scherzo, di scambiare la progettata salita con un tentativo di ascensione al Cimone dalla cresta N.O. La proposta era troppo attraente per poter essere rifiutata (…) accettai e, senz’altro, volgemmo i nostri passi alla nuova meta. 4 E ancora, il 16 settembre, appena qualche giorno dopo la salita Dimai-Treptow, si compie pure la terza ascensione della parete a firma dell’iconico Michele Bettega con Walther Schultze, di Halle. In questo caso la cordata, arrivata al balzo superiore, sale l’intonso “camino di destra”.

E proprio quest’ultimo sarà nuovamente percorso da Bortolo Zagonel nel 1894, quando vi condurrà Carlo Garbari, ambizioso esponente della nuova borghesia trentina afferente alla SAT, destinato a divenire ben noto non solo come ottimo fotografo, ma pure per le vicende dai riflessi nazionalistici connesse alla conquista del Campanile Basso, la tedesca “Guglia di Brenta”.

ALPINISMO E COMPETIZIONE

Il piglio dell’esordiente Zagonel può essere ponderato anche tramite i tentativi che egli effettuò per vincere la grandiosa parete sudoccidentale del Cimon della Pala, indiscutibilmente il vero oggetto di culto alpinistico imperante in Primiero. Poche settimane prima della salita sulla Rosetta, il 29 luglio 1892, Zagonel sfiorò un incredibile successo ancora con Crescini, l’amico Tavernaro e Giuseppe Zecchini, al tempo quasi quaran- tenne. Qualora fosse riuscita, 5 questa ascensione avrebbe nettamente precorso i tempi e proiettato la giovane guida di Tonadico nella storia dell’alpinismo molto in anticipo rispetto al 1° luglio 1901, quando vinse la parete sud della Marmolada con Michele Bettega e la “Lady di ferro”, l’inglese Beatrice Tomasson.

È ancora Crescini, la cui famiglia possedeva un villino in stile svizzero nei pressi di Prà di Col, ad informare sulla mancata impresa… Tentammo in un giorno nuvoloso e piovigginoso la salita del Cimone per la parete anteriore, sperando sempre che il tempo sì fosse cambiato, ma pur troppo ci fu talmente contrario che fatta appena un terzo della roccia si dovette discendere…

Quello tracciato da Dimai, infatti, fu un itinerario certamente importante e di gran classe, ma che divenne effimero quando la via tentata da Bortolo Zagonel nel 1892 fu scalata da Georg Leuchs nel 1905, rimettendo in equilibrio parete, alpinismo e storia.

La prospettiva storica connaturata nel nobile ufficiale prussiano Wundt, è quella che tiene conto della differenza tra guida alpina e alpinista dilettante e quindi, da prassi, pone in evidenza il nome di Arturo Crescini tralasciando d’accennare a come i citati tentativi fossero condotti in unione a Bortolo Zagonel. Scrutando l’architettura della grande parete, la guida primierotta aveva individuato nel grande pilastro addossato al suo centro, quasi un affilato naso, la linea naturale dell’ascensione.

L’idea però non godeva dell’esclusiva: che il clima competitivo fosse caldo, è testimoniato proprio dall’arrivo di Antonio Dimai. C’è inoltre da rilevare come, in quel frangente, il Cimon della Pala offrisse alle mire alpinistiche dei migliori anche il suo armonioso spigolo nord-ovest, tanto da richiamare pure Sepp Innekofler e Jeanne Immink che, il 12 settembre 1893, seguirono a pochi metri di distanza la cordata dell’onnipresente Bettega con Schultze.

Anche in questo caso, quindi, i pretendenti non mancavano e si può dire che ai piedi del Cimone, in quel periodo, ci fosse un certo affollamento… Era però la parete a canalizzare sguardi, aspettative, aspirazioni.

Per quanto ne so, fu il primo ad accarezzare l’idea di scalare la montagna direttamente da San Martino, e cioè di salire direttamente la parete sud-ovest (…) La cosa però era rischiosa.

Già il semplice sguardo su queste rocce verticali e il pensiero di un tale pericolo fa inorridire i profani. Ma il Crescini non si faceva intimorire facilmente. Egli fece diversi tentativi, e se non gli riuscì di raggiungere la cima, furono almeno riconosciute le sue qualità alpinistiche, poiché uno che riesce a scalare la Rosetta da valle è all’altezza di tutte le possibilità offerte dalla zona.

È il tardo pomeriggio del 26 luglio 1893 quando Dimai e Treptow varcano la soglia dell’affollato Rifugio della Rosetta con la vittoria in tasca. Fu un successo rilevante ma non risolutivo: la nuova via aperta corre troppo a destra rispetto all’imponente centralità della parete, inoltre la pericolosità dovuta alla roccia friabile di quel rossastro settore non sollecitò le ripetizioni, lasciando aperta la questione.

Forse per non agitare troppo le acque, Dimai spostò le sue ambizioni di successo più a destra del pilastro centrale, verso la “spalla” del Cimone, che cedette al primo attacco. Come ricorda Wundt, la guida ampezzana partì prima dell’alba in gran segreto, così… non ci sarebbe stato bisogno di subire la canzonatura delle guide locali in caso di fallimento al primo tentativo, e la concorrenza era allora ben desta.

VECCHIE E GIOVANI AQUILE

“Michele Bettega era già guida da alcuni anni. Spesso si partiva dal rifugio della Rosetta per scalare il Cimon della Pala con i signori inglesi o tedeschi. Salivo con loro fino all’inizio della roccia per portare i sacchi. Mi fermavo e attendevo che il Bettega, con i signori, tornassero. Una volta chiesi di salire anch’io, ma Bettega non ne volle sapere”. Bortolo Zagonel 1950.

Bortolo Zagonel di Carlo detto Tamazzi, nasce l’1 aprile 1868 in un’asburgica Tonadico “distretto di Primiero, provincia Tirolo”, come riporta il suo primo libretto di guida legittimato dall’Imperial Regio Capitanato distrettuale il 9 marzo 1889. Ha il pollice della mano sinistra di difettosa articolazione causata da un taglio, si legge nello spazio dedicato ai connotati particolari; imprevisto forse dovuto alla sua attività di falegname. Tale tipicità non parrebbe favorire la professione di guida alpina, eppure dopo poche stagioni Zagonel diverrà principale riferimento alpinistico delle Pale insieme a Michele Bettega, di lui più anziano d’una dozzina d’anni e, allora, la guida più nota e ricercata in tutta la valle di Primiero. In realtà nell’estate del 1889, le guide alpine riconosciute nel distretto dolomitico afferente la val Cismon sono almeno sette tra cui Tavernaro e Zecchini che, seppur in possesso di spiccate capacità, non possiedono il carisma di Bettega. E se anche le più recenti cronache non approfondiscano troppo su possibili rivalità, è un dato di fatto che nei primi anni di contestuale attività professionale, Zagonel e Bettega non si cerchino praticamente mai.

È probabile che nell’ultima decade dell’Ottocento, una delle “età d’oro” per l’alpinismo dolomitico, la mole di lavoro il personaggio fosse talmente sostenuta per due guide quali Bettega e Zagonel, che i due si ritrovassero quasi obbligati a muoversi separatamente, accompagnandosi soprattutto con Zecchini il primo e con Tavernaro il secondo. Altra ipotesi potrebbe derivare da certe note rilasciate dai clienti sul libretto di guida di Zagonel, che non favorirebbero una spontanea collaborazione tra i due.

Su tutte, quella del 28 settembre 1892 a firma di Silvia e Vittorino Toffol, titolari dell’Albergo Alla Rosetta di San Martino, che dopo aver salito la Pala dichiarano: Non possiamo che vieppiù garantire essere questa ormai una fra le prime guide. Spiegò ancor più il suo coraggio, destrezza e forza erculea, unito a sveltezza veramente gattesca. In una parola il vero allievo e seguace del famoso Bettega.

E se il parere dell’albergatore Toffol (suggellato pure da un timbro del suo hotel) può considerarsi quello dell’alpinista occasionale, certo non si può dire altrettanto per quello del medico tedesco Rickmers.

La prospettiva storica connaturata nel nobile ufficiale prussiano Wundt, è quella che tiene conto della differenza tra guida alpina e alpinista dilettante e quindi, da prassi, pone in evidenza il nome di Arturo Crescini tralasciando d’accennare a come i citati tentativi fossero condotti in unione a Bortolo Zagonel. Scrutando l’architettura della grande parete, la guida primierotta aveva individuato nel grande pilastro addossato al suo centro, quasi un affilato naso, la linea naturale dell’ascensione.

Viaggiatore e avventuriero molto vicino ai giovani bavaresi “senza guida”, dopo aver comprovato le attitudini di Zagonel sulla stessa Pala, sul Campanile di Val di Roda, sul Campanile di Castrozza (1’ascensione) e sul Campanile Pradidali, l’alpinista tedesco, a margine della terza salita della Winkler, non solo loda esplicitamente il capocordata firmandone l’encomio nella sua lingua, ma lascia pure scritto in un inglese di sintesi “Zagonel Bortolo is a good for anything in the way of the Dolomites”.

E si potrebbero citare anche le qualificate note del colto musicista torinese Leone Sinigaglia dopo le doppie traversate di Sass Maor e Cima della Madonna …ebbi grande piacere a notare in lui una prudenza e attenzione quali è raro trovare in guide così giovani; per non dire ancora di Wundt, Crescini o Garbari. Probabilmente, il tangibile rischio che il maestro venisse superato dall’allievo tiene inizialmente lontano Bettega da Zagonel (che a conferma delle proprie capacità, il 16 agosto 1894 sale nuovamente la simbolica Winklerturm insieme a Garbari).Saranno ambizione, stima e quindi amicizia a farli attrarre vicendevolmente, costituendo quella formidabile coppia che andrà a siglare una sequela di grandiose ascensioni. Quello tracciato da Dimai, infatti, fu un itinerario certamente importante e di gran classe, ma che divenne effimero quando la via tentata da Bortolo Zagonel nel 1892 fu scalata da Georg Leuchs nel 1905, rimettendo in equilibrio parete, alpinismo e storia.

È il tardo pomeriggio del 26 luglio 1893 quando Dimai e Treptow varcano la soglia dell’affollato Rifugio della Rosetta con la vittoria in tasca. Fu un successo rilevante ma non risolutivo: la nuova via aperta corre troppo a destra rispetto all’imponente centralità della parete, inoltre la pericolosità dovuta alla roccia friabile di quel rossastro settore non sollecitò le ripetizioni, lasciando aperta la questione.

Con l’approssimarsi del Novecento, Bettega e Zagonel fonderanno due filosofie alpinistiche e generazionali diverse – quelle della “vecchia” e “nuova scuola” – traendo l’uno, ultracinquantenne, gli stimoli per proseguire una carriera sempre in linea con i massimi livelli, l’altro, un dinamico veicolo pubblicitario derivante dalla larga fama europea acquisita dal più esperto collega. È peraltro curioso notare come la proficua collaborazione tra le due guide coincida con il discreto arrivo a San Martino di un distinto arrampicatore, dotato di visione alpinistica talora eccentrica eppure d’avanguardia: l’anticonformista Conte di Lovelace, al secolo Ralph Gordon Milbanke King, ovvero il nipote di Lord Byron. Per tre anni consecutivi, tra il 1899 e il 1901, Lovelace arrampicherà insieme a Bettega e Zagonel aprendo decine di nuove vie soprattutto in val Canali, consolidando un sodalizio che porterà le due guide addirittura presso la sua residenza in Somerset, per qualche arrampicata autunnale sulle calcaree falesie di Exmoor. Nel frattempo, il primo giorno di luglio del 1901, con una scalata dai toni quasi epici, le grandi capacità tecniche di Zagonel unite al grande fiuto di Bettega e al risoluto carattere di Beatrice Tomasson, vinceranno la poderosa parete sud della Marmolada.

Il sole metteva in rilievo il camino obliquo che solca quasi tutta la parete ovest. Ormai quella ascensione era divenuta la mia idea fissa: era troppo bello ed invitante per non salirlo. Il 16 settembre 1897, assieme alla signora austriaca Plank e alla guida Rizzi, di Val di Fassa, lo salimmo, impiegandovi una decina di ore, perché il camino era bagnato e per le difficoltà dello strapiombo di un blocco incastrato, che ci fece sudare molto per superarlo.

DAL CAMPANILE ZAGONEL AL CAMPANILE DELLO ZIO BORTOLO

“Nelle mie gite alpine mi sono sempre, o quasi, trovato contento delle guide scelte, e di molte serbo anzi vivissima stima: ma dopo aver veduto alla prova Bortolo Zagonel, mi è il personaggio carissimo dichiarare qui che per lui sento vera ammirazione.” Giovanni Chiggiato, 31 agosto 1903 (dopo la traversata Sass Maor Cima della Madonna).

Come per Michele Bettega, pure per Bortolo Zagonel è quasi impossibile elencare nel dettaglio la sua attività alpinistica: troppe le sue ascensioni da recuperare e decifrare. Già detto di certi exploit come quello ben noto sulla Sud della Marmolada, in questa sede è il caso d’accennare solo ad alcune sue prime ascensioni, ritrovando un’intervista 9 che rilasciò nel 1950 a Gabriele Franceschini, guida alpina d’origine feltrina radicata alle vette delle Pale come pochi altri.

A precisa domanda sulle sue scalate più significative, Zagonel indicò, oltre alla Marmolada, la ovest del Campanile di Val di Roda e la cresta settentrionale della Pala di San Martino… Il Campanile di Val di Roda lo guardavo ogni sera da casa mia.

In realtà quel 16 settembre Bortolo Zagonel, insieme a Rizzi, aveva guidato nel camino che porterà per sempre il suo cognome, la trentanovenne tedesca Emilie “Mimi” Blank, di Elberfeld, esperta arrampicatrice nonché terza moglie di Julius Meurer, alpinista già incontrato ben vent’anni prima con Alfred von Pallavicini, Michele Bettega, Santo Siorpaes e Arcangelo Dimai nella prima salita dell’arcigna Pala di San Martino (v. Aquile n. 2). Per quanto riguarda proprio la Pala, l’anziana guida di Tonadico così rivelò a Franceschini…

La studiai a lungo: nessuno aveva mai pensato di attaccare così direttamente quella cima. Sotto, erano passati Antonio Dimai, il Siorpaes ed il Bettega. Parlando con quest’ultimo avevo capito che la riteneva impossibile. Nel 1898 trovai un cliente molto bravo ed appassionato, Oscar Schuster, e gli proposi l’ascensione. Ne parlammo a lungo: decise di darmi, quale aiuto nell’impresa, il mio compaesano e guida alpina Tavernaro. Quel giorno superammo la cresta in otto ore di arrampicata; sulla vetta ci accolse un acquazzone terribile; scendemmo per la via comune al rifugio Rosetta dove si fece gran festa per la nostra salita. Nello stesso anno, il 1898,il nome Zagonel si perpetuò come oronimo, visto che l’11 settembre la massiccia elevazione che emerge dalla cresta sudoccidentale della Pala della Madonna, in val Canali, venne chiamata “Campanile Zagonel”.

Del resto Von Saar è lo stesso arrampicatore che, solo quattro anni dopo, risolverà brillantemente il problema alpinistico del leggendario Campanile di Val Montanaia, con un’aerea traversata che oggi porta il suo cognome.

Sono rari gli esempi in cui, nella contemporaneità, la cima vinta viene appellata con il nome della guida e non con quello del suo cliente. In questo caso si trattava di un giovane studente di medicina, Karl Gunther von Saar,di Graz, che oggi la storia ci consegna come uno tra i più forti membri della Gilde zum Großen Kletterschuh, alias “Squadra della scarpa grossa”, vivace sodalizio alpinistico capitanato dall’arrembante Victor von Glanvell.

Tra le molte altre, ci sarebbe pure da citare… la difficile cima a Nord del Campanile di Castrozza, ascesa non mai salita da alcuno, 10 vinta da Zagonel il 28 settembre 1895 con Adele De Zorzi, che talune fonti indicano essere sua nipote (notizia non confermata). La bella vetta fu battezzata non a caso “Campanile Adele”, come peraltro la torretta bicuspide che spunta tra Campanile Pradidali e Cima di Ball, detta appunto “Furchetta Adele” (di questa ascensione, però, non c’è preciso riferimento). Ma la fuggente alpinista trentina non si limitò a salire solamente lo slanciato campanile che porta il suo nome. In realtà quella fu l’ultima d’una serie di scalate che la vide “guidata dal famoso e ferreo Bortolo Zagonel…” dapprima in vetta a Cimone e Vezzana nello stesso giorno, poi sulla Pala di San Martino, quindi sul “difficile Campanile di Castrozza (III salita nota) dal camino di mezzogiorno e traversata a oriente”, e ancora… “il Campanile di Val di Roda e traversata della Cima Val di Roda”. Si cimentò inoltre con “la nuova traversata del Sass Major [sic] e la piccola Punta [Cima] della Madonna”, in cui sottolineò “…pel lungo e spaventoso camino dell’immortale Winkler”.

Adele De Zorzi, di cui sappiamo della sua adesione alla SAT, 11 riporta in conclusione alle sue note sul libretto della guida… sempre modesto, premuroso ed ilare coi suoi muscoli acciaiati nelle tremende situazioni dell’Alpinismo, il Zagonel incoraggia ed attrae e quindi lo si raccomanda validamente a chiunque.

Ulteriore appunto meritano infine le estese campagne alpinistiche, vagamente accennate in precedenza, condotte da Zagonel in felice simbiosi con Bettega e con il Conte di Lovelace, delle quali è necessario evidenziare la breve ma nervosa salita della “Strega” (24 giugno 1900), al secolo Punta del Caldrolòn. Nell’occasione, Zagonel e Bettega superarono difficoltà straordinarie “…into a deep cleft”, in una profonda fessura, come riportato dal nobile arrampicatore inglese nel libretto di entrambe le guide (e solo qui), tant’è che più di qualche storico – anche recentemente – continua perplesso a soffermarsi sull’impresa. Trascorsa una sessantina d’anni da tali vicende, il 19 agosto 1954 Michele Gadenz Micèl, altro importante nome dell’alpinismo legato alle Pale di San Martino, nonché nipote della grande guida di Tonadico, sta arrampicando da solo intorno al sottogruppo della Fradusta, a caccia di vie nuove.

Quel giorno l’alpinista primierotto sale una svelta torre che si stacca tra il Campanile della Fradusta e la Cima del Conte, dedicandola alla memoria di Maria Stefenelli. Dal suo vertice, con una semplice digressione, puntando brevemente a est, calca pure un’altra vetta intonsa, meno sinuosa della prima, tuttavia evidente e massiccia. Il Micèl la chiamerà “Campanile dello zio Bortolo” evocando affettuosamente la figura parentale, e forse ricordando ciò che scrisse a suo tempo Guido Rey, quando decantò il ritratto di colui che aveva ingaggiato per le sue salite dolomitiche… È a tutta prima, squadrando Bortolo Zagonel che pare tratto fuori da un macigno tanto è saldo e massiccio e che ha un volto impastato di bontà e arguzia. 13

La vecchia guida alpina, nel frattempo, era scomparsa già da tre anni. In pace, dopo mezzo secolo di grandi ascensioni.

Artigiano carpentiere, abilitato ufficialmente a Portatore nel 1912 dall’Imperiale Capitanato di Franz Joseph, guida del Club Alpino Italiano dal 1924, con Carlo Zagonel non si ritrova solamente la peculiare continuità della professione all’interno della famiglia, bensì un alpinista capace d’esprimersi ai massimi livelli dell’epoca. Il suo, infatti, non è solo un alpinismo di vocazione professionale, ma coniuga pure la ricerca della difficoltà all’estetica della scalata, tanto che può essere considerato tra coloro che accelerarono decisamente la storia dell’alpinismo sulle Pale tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, insieme a personaggi dai toni più cosmopoliti come Gunther Langes, il binomio CastiglioniDetassis, fino a Emil Solleder.

NEL NOME DEGLI ZAGONEL

Nel 1891 Bortolo Zagonel sposa Caterina Lucian Petre che il 4 novembre 1895, nella loro casa di Tonadico, darà alla luce Carlo, il primo di tredici figli, 14 tramandando così la tradizione che vede il nome del nonno trasferito al nipote. Con Carlo Zagonel s’inaugurerà quella linearità dinastica che vedrà passare di padre in figlio l’arte della professione di guida alpina, e gli Zagonel a San Martino diverranno ciò che sono i Lacedelli, i Dimai o i Dibona per Cortina. Quasi a chiudere un cerchio, sarà ancora la lucente parete sud-ovest del Cimone a comparire nel destino della famiglia, decretando l’iniziazione di Carlo Zagonel.

Prima della Grande Guerra, il milanese Arturo Andreoletti, tra i migliori alpinisti italiani dell’epoca, era tra quelli che potevano vantare una delle rarissime ripetizioni della parete del Cimone (1910, 3 a salita, con la guida di Frassenè Agordino Serafino Parissenti). Il 13 settembre 1913 Andreoletti tornò sulla stessa insieme al fassano Francesco Jori, seguito da Bortolo Zagonel e da Ernst Juraneck… ai quali avevamo da tempo promesso d’insegnargli la via. In cordata con loro anche il figlio Carlo, al tempo solamente quindicenne, per percorrere una via che le guide di San Martino non solo non avevano mai ripetuto, ma nutrivano ancora (infondati) dubbi sulla veridicità della prima ascensione.

Naturalmente, oltre all’attività quale guida di prim’ordine, sono le sue vie nuove che, come opere d’arte, ne delineano personalità e talento. Nel 1926 Carlo Zagonel vince l’intonsa parete est della Pala di San Martino con J.W. Hoxel, mentre con il milanese Giorgio Kahn (nome non troppo noto eppure di caratura alpinistica non comune) sale lo spigolo sud-ovest della Cima della Madonna, cioè quello che fa da contraltare al favoloso Spigolo del Velo. Sarà questa la realizzazione forse più rappresentativa della sua estesa e brillante attività. E a proposito di Spigolo del Velo, nella precedente estate, il 6 luglio 1925, accompagnando i coniugi Hoxel con il fratello Michele, guida pure lui, Carlo Zagonel lo aveva raddrizzato con una superba variante 15 che riuscì ad abbellire ciò che era già un capolavoro alpinistico. Nel settembre del 1926 eccolo aprire una via diretta sulla attraente parete ovest della Cima Vezzana, in una cordata dalle potenti suggestioni che annovera anche Gunther Langes, un diciottenne Ettore Castiglioni e il tirolese Roland Rossi, quest’ultimo reduce dal pioneristico “sesto grado” sulla parete nord del Pelmo (1924).

In proposito, ricorda il giovane Castiglioni… ci mettiamo in cordata, per affrontare giusto nel suo mezzo la poderosa muraglia,alta circa 700 metri. La parete però non è verticale ed è ricca di ottimi e solidi appigli: Zagonel e Langes procedono insieme, senza attendersi, a grande andatura; Rossi ed io ci lanciamo all’inseguimento: ogni tanto li raggiungiamo, poi tornano a sfuggirci.

L’arrampicata è divertentissima, e ridiamo nel constatare come quelle temute lastronate si lascino vincere agevolmente (le “plote lustre”, le chiamava Zagonel il giorno innanzi guardandole con diffidenza). Nell’ottobre del ‘28 è ancora con Langes e con Michele Zagonel sullo spigolo sud-occidentale dei Bureloni, forse tra le architetture rocciose esteticamente più accattivanti di tutta la Catena Settentrionale delle Pale. Di Carlo Zagonel è d’obbligo peraltro ricordare la prima ascensione invernale del Cimon della Pala, che portò a termine tra il 27 e il 28 gennaio 1930 insieme a Sagerer, di Innsbruck, salendo per la via normale e percorrendo in discesa lo spigolo nord-ovest. Ovviamente si potrebbe continuare ancora (est della Cima Lastei con Rudolf Saxl, Campanile Adele con Thomas, etc.) derubricando vette, pareti e ascensioni. Ciò che preme evidenziare è come Carlo Zagonel rappresenti un perfetto passaggio di consegne. Un testimone di quei valori identitari che saranno trasmessi in eccezionale continuità anche al figlio Bortolino, comunemente chiamato Lino (19221989), guida alpina dal 1948, che ebbe come clienti personaggi di respiro internazionale quali Dino Buzzati e Massimo Mila.

Stesse virtù si ritrovano pure nel già citato Michele Zagonel (1900-1990), secondo figlio di Bortolo, forte guida alpina dai canoni più classici che s’incontra con il fratello maggiore Carlo in alcune importanti ascensioni. Il terzo ed ultimo figlio maschio di casa Zagonel, Antonio (1903-1964), si limiterà invece a divenire portatore alpino. Un efficace quadretto familiare trigenerazionale lo dipinge con consueta sagacia nientemeno che Dino Buzzati nel settembre del 1946, in una San Martino che tenta di ricucire i pezzi dopo l’ultima guerra… Dinanzi a uno dei pochi caffè aperti sono sedute a prendere il sole sei sette persone (…) il caro Carlo Zagonel, 51anni, figlio del leggendario Bortolo che a 80 anni va ancora a far legna nel bosco (Carlo è incurvato precocemente da un’artrite che non gli impedisce però, se occorre, di portare cordate sui quarti e quinti gradi); il figlio Lino, 24 anni, alto e atletico, tipico esempio della guida dolomitica moderna, più raffinato ma forse già meno autentico, che il padre amorosamente ma imperiosamente istruì sugli apicchi fin dall’età di 11 anni, donde scenate e pianti in bilico sui precipizi, e poi mandò a studiare in un collegio tedesco.

Era un maestro eccezionale. Giocava con me in laboratorio, mi aggiustava la bambola rotta, mi cucinava i migliori bocconcini di carne affumicata di cui ero ghiotta. Passava giornate intere con me in Rifugio senza annoiarsi, era un pozzo di esperienza e di saggezza umana. È stato sempre un esempio di conoscenza, competenza, laboriosità accurata, dedizione e amore per la famiglia.

Bortolo Zagonel morì in Tonadico il 28 marzo 1951, ad ottantatré anni. L’ultima nota nel suo libretto di referenza (il quinto) è firmata dal geologo Carlo Semenza e porta la data del 15 agosto 1940. Fu Alfredo Paluselli, genius loci di Passo Rolle, a rendergli uno tra i più eccelsi, ultimi commiati: …il tuo nome ha varcato i confini della Patria e la tua epigrafe sta scritta anche sui colossi granitici delle Alpi: Francia, Svizzera, Austria e Germania, hanno conosciuto le tappe della tua ascesa… nessun regnante al mondo ha un monumento eguale al tuo: la Marmolada.

Carlo Zagonel scomparve appena quattordici anni dopo, il 29 gennaio 1964, mentre Bortolino “Lino” Zagonel, il primo settembre 1989. Oggi è sua figlia Carla (confermata anche qui la tradizionale trasmissione dei nomi…) a ricordare le lontane figure del nonno e del padre. Consapevole depositaria di un patrimonio familiare unico, con poche righe ne umanizza decisamente i tratti… “Da piccola mi svegliavo spesso durante la notte e per non piangere nella mia stanza popolata da elfi e fate, mi rifugiavo nella stanza di nonno Carlo, al calduccio. Lui era sempre sveglio, leggeva moltissimo e mi raccontava le storie vere sino a quando riprendevo il sonno.

Io vivo lontana da molti anni. Il ritorno a casa, a San Martino, mi colma di gioia e ripercorro le immagini più belle delle Pale: la notte con la luna al Col del vent, i tramonti sulle cime che sembrano dire “acchiappami”, le nebbioline con gli arcobaleni, il mare di nebbia sull’altopiano della Rosetta. Le spedizioni sui “sassi” da sola, all’insaputa dei miei fino alla cima della Rosetta per aspettare papà Lino in arrivo dalla Garbari. Non avevo paura di nulla, ero libera e felice. Spero che i miei due figli sentano sempre, e con maggiore intensità, la loro origine montanara ed amino toccare e sentire la rugosità viva della roccia e l’ebbrezza della sospensione nel vento”.

Ma l’estensione alpinistica che riunisce il nome degli Zagonel – potere del carismatico capostipite – non si esaurisce nella linea dinastica di Carlo e Lino.

Classe 1930, portatore dal 1958, guida alpina e maestro di sci, benemerito capostazione del locale Soccorso Alpino (tanto da meritarsi la stella al merito dell’Ordine del Cardo), Edoardo Zagonel è oggi ottantaseienne Guida Emerita. “Edo”, com’è familiarmente chiamato, ha contribuito per un cinquantennio, al pari del cugino Lino, a rinvigorire la tradizione inaugurata dall’illustre nonno e consolidata, come si è detto, dagli zii Carlo, Michele e Antonio.

Una tradizione tuttora accesa grazie a suo figlio Antonio, guida alpina pure lui, e che stava per essere ulteriormente alimentata da Maurizio Zagonel, nipote del buon Michele ed aspirante guida alpina, che una valanga ha voluto con sé il 2 gennaio 1997, ad appena venticinque anni.

È dunque una lunga storia quella degli Zagonel. Una vicenda che scorre attraverso un secolo e oltre, consegnando per sempre un unico e breve nome agli immortali, pallidi monti.

Aquile Magazine