Testo: Maurizio Toffol | Foto: Pierluigi Orler
Tante volte nasce spontaneo, alla vista di un attrezzo o di un utensile, chiedersi chi l’abbia inventato, perché e quando. Ecco che allora, se la curiosità si affianca alla vita quotidiana e, quindi, alla storia, ci si ritrova ad indagare ed approfondire le nostre conoscenze e, soprattutto, a raccogliere e conservare in qualche spazio domestico una serie di oggetti, che richiamino la storia e ne spieghino l’evoluzione nel tempo.
Spontaneamente mi nasce una prima domanda: perché si chiama ferro da stiro? Forse è un richiamo al passato, al ferro della nonna, che conteneva le braci, ma era di ghisa? Oppure è perché abbiamo dimenticato tutti gli altri strumenti che venivano e vengono ancora oggi utilizzati per lisciare le stoffe?
Il più antico ferro da stiro a caldo, o meglio lisciatoio, nasce di bronzo alcuni millenni orsono e non ha nessuna funzione estetica, ma solo pratica; i Cinesi usavano una ciotola bronzea, capace di contenere delle braci o di essere riscaldata, per lisciare, bruciando tutte le sporgenze pungenti delle stoffe che riuscivano a produrre a base di canapa, lino o soia.
Solamente con gli Egizi nacquero i primi lisciatoi e le prime scelte estetiche: ecco allora i faraoni, ad esempio Ramesse II, vestiti con le loro gonne pieghettate (plissettato) in lino e le loro stoffe eleganti, ricamate e ricche di decori. Gli egizi scoprirono ed utilizzarono un amido (resina non appiccicosa), che doveva essere disteso all’interno della trama del tessuto; per riuscire ad impregnare le stoffe di questa sostanza naturale, usarono il vetro e fecero nascere i “lisciatoio di vetro”, freddi, ma perfettamente capaci di stendere le stoffe, che insieme all’amido, si conservavano successivamente perfettamente lisce.
Insieme al vetro, anche per altre attività legate alle loro produzioni artistiche e sacre, gli egizi usarono il marmo a freddo, che ben lisciato su un lato e forgiato nella parte superiore per essere più fermamente impugnato, risolveva insieme al peso, la funzione di lisciare le stoffe. Naturalmente ne venivano prodotti di varie dimensioni in funzione delle stoffe che dovevano poi essere lisciate. Quindi arrivarono i Romani, che erano un popolo molto più numeroso e con strati sociali più bisognosi di differenziarsi e nacquero le lavanderie e, soprattutto, le stirerie: Pompei, nella casa Funiculum, riporta due distinti edifici affrescati, dove si possono rilevare gli strumenti utilizzati nell’attività di lisciare le lunghe tonache di lino che indossavano i nobili romani. Queste erano veramente perfettamente lisce come appaiono nelle statue giunte sino ai giorni nostri: erano tessuti bianchi di lino, lavati e lisciati con piastre di marmo freddo e trattati per mantenerle perfette con un’immersione in urina umana, in quanto l’ammoniaca da questa formata agiva da amido morbido, nonostante l’odore. I Romani abbandonarono il vetro come lisciatoio e rimasero ancorati al marmo, che oggi si trova in qualche scavo a testimonianza di un’attività umana in un’epoca in cui l’eleganza sembrava molto sottovalutata.
Nei primi secoli dopo Cristo crebbe molto l’uso delle stoffe, specie il lino per gli abiti e la canapa per lenzuola e tovaglie. La necessità di una minima igiene portò l’uso dell’acqua naturale, prima fredda e poi calda, per lavare queste stoffe. Mancava tuttavia il detersivo, ed ecco che scoprirono la cenere, che riusciva a pulire i panni, ma si impregnava nella trama. Questa poi, specie per la canapa, nell’asciugarsi al sole, ritornava ruvida ed abrasiva, rischiando di provocare delle infiammazioni alla pelle di chi la indossava od utilizzava, oltre a contenere ancora dei granelli di cenere. Ed ecco che nasce l’esigenza di lisciare anche questi panni, magari grandi come le lenzuola oppure le tonache; ma anche i tempi di asciugatura erano lunghi, specie se le condizioni meteorologiche non erano ideali.
E allora, proprio per esigenze non tanto estetiche, ma soprattutto funzionali, utilizzarono i primi attrezzi per lisciare in ferro: nacquero così i primi ferri da stiro, in metallo grezzo, un unico blocco abbastanza pesante (si pensi che nella mia ricerca ne conservo uno che pesa ben sette chilogrammi!), con un manico per sorreggerlo, la parte inferiore liscia e, posti nel fuoco, venivano riscaldati e svolgevano la loro funzione di levigare queste stoffe abbastanza ampie. Con i secoli successivi, non solo si riuscì a perfezionare la qualità del metallo, liberandolo dalle impurità naturali, ma anche a forgiarlo con forme e dimensioni diverse dettate dall’uso cui servivano. E dai primi secoli dell’anno mille, nelle varie città europee centro della moda dell’epoca, si svilupparono le tante tipologie di ferri che oggi conosciamo e che si riescono a trovare presso alcuni raccoglitori ed antiquari.
Ed allora, dopo quelli di terracotta molto pesanti, nacquero i lisciatoi di legno, formati da una tavola di legno con il fondo piatto o zigrinato, e la parte superiore dotata di uno o due manici, per permetterne l’utilizzo e caricare maggior peso sulla stoffa. Con questo strumento, non solo si batteva la stoffa per rimuovere i residui di cenere, ma soprattutto la si lisciava.
Sono strumenti di piacevole ed artistica fattura, con manici che rappresentano spesso il cavallo ed incisioni con l’albero della vita e i cuori dell’amore legati dalle mani strette: erano infatti quasi sempre doni nuziali che auguravano lunga vita ed amore.
Rimane ancora interessante, oggi nella più attuale modernità e la produzione di strumenti sempre più sofisticati, la continua utilizzazione di lisciatoi in vetro, che trovano ancora spazio per lisciare abiti di seta e ancor più vestiti di infanti e di signore, arricchiti di pizzi e merletti, che il vetro liscia ed esalta in maniera perfetta, senza rischiare che il calore di un apparecchio contemporaneo li possa rovinare; sono lisciatoi identici a quelli prodotti nel XV e XVI secolo, con vetro soffiato, anche colorato, ma caratterizzato da un manico verticale per l’impugnatura ed una piastra circolare orizzontale, con i bordi arrotondati.
Rimane ancora interessante, oggi nella più attuale modernità e la produzione di strumenti sempre più sofisticati, la continua utilizzazione di lisciatoi in vetro, che trovano ancora spazio per lisciare abiti di seta e ancor più vestiti di infanti e di signore, arricchiti di pizzi e merletti, che il vetro liscia ed esalta in maniera perfetta, senza rischiare che il calore di un apparecchio contemporaneo li possa rovinare; sono lisciatoi identici a quelli prodotti nel XV e XVI secolo, con vetro soffiato, anche colorato, ma caratterizzato da un manico verticale per l’impugnatura ed una piastra circolare orizzontale, con i bordi arrotondati.
Gli ultimi passi della storia e dell’evoluzione dei cosiddetti ferri da stiro videro nascere nel 1800 negli Stati Uniti i lisciatoi in acciaio funzionanti a cherosene, che veniva contenuto in un piccolo serbatoio nella parte posteriore dal quale scendeva un tubicino che alimentava un piccolo bruciatore; poi, con l’avvento del gas metano sempre nel 1800, si perfezionarono i ferri a gas. Nel 1891, sempre negli Stati Uniti, fu prodotto in serie il primo ferro da stiro elettrico, ma del peso di sei chilogrammi; questi fu seguito nel 1926, sempre Oltre Oceano, dal primo ferro a vapore. L’Europa, che non aveva il petrolio, quindi, il cherosene, non poteva semplicemente guardare, per cui in Francia produssero un ferro in acciaio, molto simile a quello americano, ma funzionante ad alcool, con un piccolo serbatoio ed un bruciatore a tubo; ma l’alcool era troppo pericoloso e facilmente infiammabile, per cui ebbe poco successo commerciale, anche se puntualmente brevettato e commercializzato.
Ricercare e studiare questi strumenti dell’attività umana nella sua storia è indubbiamente affascinante, ma arricchisce anche culturalmente, là dove si riesce a conoscere e capire l’evoluzione sociale dell’uomo; riuscire poi ad averli in casa, studiarli nei loro particolari e nelle loro forme, oltre che confrontarli tra le varie popolazioni, completa ancora più la nostra curiosità ed il desiderio di rendere partecipi i propri concittadini di una raccolta che altrimenti rimane nascosta e, scioccamente, sconosciuta.