Vivere in Montagna

Francesco Turra “Checho Fazenda”

Testo: Luciano Gadenz - Guida Alpina | Foto: Pierluigi Orler

Quante volte, entrando in casa, sono stato rimproverato per aver portato fino in valle quell’odore strano che impregna i vestiti.

Quante volte, entrando in casa, sono stato rimproverato per aver portato fino in valle quell’odore strano che impregna i vestiti. Un misto di stalla, di legna che brucia, di vapore della casera, di roba da mangiare, di luganega, di formaggio, di vento, di pioggia, di resina, di erba con i suoi fiori. Un odore fatto di tante sensazioni che si fondono secondo la natura stessa dell’alpeggio; odore unico, come è unica l’esperienza dell’alpeggio. Una parola che è sufficiente per evocare miti e storie antiche, legate agli uomini, alle bestie e ai luoghi, ad una natura domata nel tempo e addomesticata alle esigenze di una comunità abituata a sopravvivere in una montagna difficile. La pratica dell’alpeggio si perde in antiche leggende del Salvanel, del Mazarol che hanno insegnato ai montanari come sopravvivere stabilmente in zone impervie e come trasformare le risorse per superare i mesi invernali.

Lo stesso nome Alpi deriva da “alpeggio” – “Alm” – malga ed è da tempi remoti di 2000 – 3000 anni a. C. che abbiamo testimonianze di questa migrazione verticale stagionale. La chiamano Agricoltura di sussistenza ma la Malga ha conquistato le Alpi contribuendo alla strutturazione del paesaggio e alla sua conservazione ottenendone importanti risorse sostenibili e rinnovabili.
In Malga il protagonista vero è il Tempo nel suo rapporto con l’uomo. Le innovazioni, i cambiamenti, la tecnologia, non hanno modificato il ritmo delle giornate che rimangono scandite da tempi immobili. Le ore sono ancora quelle del sole e i ritmi sono dettati dalla natura e dal suo influsso su un territorio che ha continue necessità di cure continuando quegli interventi di bonifica che i nostri antenati hanno effettuato.
Gli uomini delle Malghe non sono “fuori dal tempo” perché vengono considerati lontani dalla “modernità”, ma vanno considerati i depositari di valori fondamentali di riferimento. È una grande fortuna che esistano ancora orgoglio e passione per un mondo che sembra così lontano anche se sono sempre più pochi quelli che rimangono. Alla Malga Vallazza attorno a Francesco Turra (Checo Fazenda) ci sono i giovani con l’entusiasmo dell’età e la consapevolezza di essere portatori di una storia antica e depositari di quella storia che da secoli unisce uomini, natura e bestie in un impatto culturale, sociale ed economico che con molta superficialità la società tende a sottovalutare, guardando nuovi modelli di vita e di sviluppo che mettono in discussione alcuni valori che una comunità di montagna dovrebbe continuare ad avere come riferimento per il futuro.

Intervista Francesco Turra “Checo della Valaza”

L’intervista è stata fatta in dialetto ma perché il testo sia comprensibile a tutti sono riportate solo alcune frasi nella dicitura originale

D: La tua vita così come il tuo soprannome “Checo della Valaza” è legata alla malga Valazza che tu fin da bambino hai iniziato a frequentare, ci puoi parlare della tua vita passata là?

R: Sono nato nel 1933 da una famiglia di contadini, ed ero l’ultimo di nove figli, in casa la vita era molto stentata e così ancora da bambino nell’estate del 1946 i miei genitori mi mandarono durante l’estate a “cost” (per il vitto e l’alloggio) alla malga Valaza che a quel tempo era gestita dalla società malghe e pascoli di Tonadico e casaro era il Gusto dei Turi mentre “vacher “era lo zio Nane Fazenda, e con le manze c’era il Giulio Zagonel (Sofio). La vita di malga era dura, in pochi giorni ti facevano diventare da bambino a “omenet” e non è come oggi che se non hai 16 anni non puoi lavorare.
Nell’estate del 1947 ci fu un’epidemia bovina di afta epizootica e alla malga c’era un gran da fare, giornalmente oltre ai normali lavori bisognava aiutare i pastori adulti a ripulire la bocca ed i piedi ai bovini infetti perché potessero alimentarsi da soli, inoltre per quelli più mal messi onde evitare che morissero di fame, noi bambini ci mandavano con un falcetto a recuperare un po’ d’erba nei posti più scoscesi dove il resto della mandria non riusciva a pascolare.
Io nei primi anni ero “manderol” e “mander” era il Giulio Sofio, e a quel tempo le manze erano relegate nelle zone più ripide con il pascolo più scarso e magro dei “laresedi sotto il Palon della Venia o su par la val dei Forni” e bisognava stare tutto il giorno a controllare la mandria che non sconfinasse sul campivolo che era adibito al pascolo delle mucche da latte “e no se podea mia star là a dromir” se sconfinavano erano urli e invettive da parte di “quei dele vache” ed era regola “tegner confin”. Quando poi sconfinavano verso il bosco di Paneveggio “stea poch a ruar su i militi de Paneveie e l’era ogni volta na cridada e en kilo de botiro e na poina par el marescial”.

D: A quei tempi come si svolgeva la giornata al pascolo? Usavate i cani per controllare gli animali?

R: Le giornate al pascolo erano lunghe dall’alba a notte, con bello e cattivo tempo e bisognava essere sempre molto attenti a controllare la mandria “e tegner confin”. Quando pioveva io avevo “en giacheton” di quelli lasciati dai soldati tedeschi e quando era bagnato “l’era na carga che me dovee portar drio tutt’al dì”, a quei tempi non c’erano scarponi ne stivali l’unica calzatura erano le “dalmede” con la suola di legno. L’uso dei cani poi era assolutamente vietato, i proprietari del bestiame non lo volevano. Sono stato io uno dei primi ad introdurli negli anni sessanta, i cani mi venivano prestati da dei pastori di pecore “Valsuganotti” che d’estate pascolavano le greggi sul “Lastedi”. Normalmente mi davano dei cani vecchi che erano molto più adatti a lavorare con i bovini perché più calmi e facevano correre meno il bestiame.

D: Quale era l’alimentazione in malga?

R: Nel 1946, il primo anno che ero nella Valaza, “el magnar l’era polenta alla mattina, poleta a medodì e n’cora polenta anca la sera”. Nel 1947 invece la sera  c’era minestra. I pastori addetti alle manze al mattino uscivano presto e “le postavano” poi ad un urlo da parte del casaro rientravano alla malga e facevano colazione “che l’era polenta, formai, poina e schizz, e no tosela parchè la lat la vegnea spoiàda par far botiro”. Alla Madonna d’agosto (Feragosto) “l’era sagra con piat de pastasuta e en bicer de vin che a noi tosati e ne fea pi mal che ben” Nel 1951 il forte innevamento invernale, più di 12 metri di neve nel vicino passo Valles, rovinò gli edifici della malga, soprattutto la stalla e da allora fino al 1981 la malga fu monticata solo con manze provenienti dalla malga Fosse e il surplus della malga Venegiota. Nel 1982 la società malghe e pascoli affittuaria delle malghe del comune di Tonadico, decise l’affidamento delle tre malghe ad alcune famiglie del paese “ala nosa famea la Valaza , ai Gasperetti (famiglia Turra) e i Rocchi (famiglia Depaoli) la Veniota e al Monta (Turra Giorgio) la Pala”. La condizione della Valaza era disastrosa, quando pioveva l’acqua passava sotto il pavimento di una misera cameretta al piano terra, per le mucche c’erano due “teazi” non collegati e quando pioveva per passare da uno all’altro ti bagnavi: “coi tosati piccoli l’era proprio sopravvivenza”

D: La confinante malga Iuribrutto da chi era gestita a quei tempi?

R: Per un periodo la malga Iuribrutto è stata utilizzata durante il risanamento sanitario delle bovine come malga “così detta contumaciale” e qui venivano inviati i bovini sospetti di qualche epidemia (Afta epizootica, Tbc, brucellosi ecc.). Per un periodo capo malga è stato “el Bepi Tareson de Transacqua con do tre tosati”, il latte veniva ritirato giornalmente “dal Fausto dei Tofolini” con un fuoristrada e portato a lavorare alla malga Ces allora gestita “dal Rico Cemin”. Negli anni a seguire, per un periodo, pastore fu “el Gino Marion” con le manze della malga Venegia e Rolle, poi dagli anni ’90 abbiamo iniziato a gestirla noi con gli animali della Valaza e per più di 10 anni “le stat mander el Valerio Marion” appassionato alpigiano e molto pignolo nel controllare che gli animali delle malghe confinanti non sconfinassero nel suo pascolo. Chi conosceva la sua focosità lo tentava chiedendole: Valerio l’obelisco della Val Miniera è di Moena o di Primiero e lui con orgoglio affermava “là le nos e no de quei de Moena” pur essendo in realtà il terreno di proprietà di Moena e solo catastalmente del comune di Tonadico.

D: Tu ora hai 83 anni, sei attivo quasi come un giovane, come si svolge normalmente la tua giornata?

R: Al mattino quando sono le cinque mi alzo senza nessuna fatica “anca parché le en pez che varde su sot”, Alle 7 prendo il caffè e già tutti gli animali dai cani, alle mucche ai cavalli stanno mangiando e la stalla è pulita e gli animali sono pronti per la mungitura. Durante la mattinata mi occupo di foraggiare le manze che abbiamo a Coladina (maso sopra Imer). Chiaramente la mia resa non è più come una volta ma faccio tutto molto volentieri, “ se staghe ben deve sol ringraziar quel de sora”. Anche d’estate la mia giornata va dall’alba al tramonto e mi occupo principalmente “de tenderghe ale mande” che spaziano su un ampio territorio che va dal Passo Valles al Col Margherita, alle Buse, pascoli posti nella confinante provincia di Belluno. D’estate come aiuto ho quasi sempre un giovane “che insieme a Sant’Antoni, che le el protetor dei animai, el ne da na man a cenerli insieme sani e salvi”.

D: La tua vita è sempre stata legata all’allevamento e all’agricoltura di montagna, come giudichi i cambiamenti che ci sono stati negli ultimi decenni? 

R: Negli ultimi decenni le malghe sono state in parte trascurate, sono diminuiti gli animali e i bovini sono di taglia più grande e più pesanti per cui molte zone sono ormai non più adatte al pascolo e con una scarsa qualità dell’erbatico con una conseguente avanzata della vegetazione arborea e arbustiva. Altro male è la burocrazia, troppe regole e vincoli, fino a 15-20 anni fa, le regole erano poche chiare, e bastava rispettarle. Ad esempio in Alto Adige c’è molta più comprensione e flessibilità, in malga possono fare formaggio, mentre da noi devi avere 4 locali per poter trasformare il latte e venderne i prodotti. Io non sono mai stato pessimista e anche il neo comune unico PrimieroSan Martino lo vedo con favore “quan che son nasest ghe nerà el comune de Primier con tutti i paesi de Sora Pieù per cui no se inventa nient de nòu e pense che anca sto cambiamento el pol portar a migliorar le robe e soratut a sparagnar”.

D: Da che cosa deriva la tua grande passione nell’allevare bovini di razza grigio alpina e per i cavalli?

R: Io fin da giovane sono sempre stato legato e appassionato dei bovini di razza grigio alpina. Il pascolo comodo alla Valaza è quasi inesistente e gli animali devono cavarsela pascolando in zone difficili, piene di sassi, avvallamenti e pendii ripidi e per questo le grigie sono più adatte, più sane e durevoli anche se meno produttive.
Altro discorso sono i cavalli, “al dì de i coi l’e come aver na cambiale”. In passato i cavalli erano una fonte di reddito, io dal 1962 al 1982 ho sempre dato in affitto 1 o 2 cavalli al Demanio che li usava in autunno per l’esbosco del legname. D’estate poi mi venivano date da utilizzare delle piante schiantate che quasi sempre erano in zone poco accessibili, e l’unico sistema per esboscarle era l’uso del cavallo a strascico.

D: Un altro tuo grande interesse è partecipare alle aste bovine che si tengono ogni martedì a Bolzano, qual è il motivo di questa tua affezione?

R: Si, da tanti anni, quasi tutte le settimane vado a Bolzano all’asta, anche se per una persona di fuori provincia non è permesso vendere ma solo comperare e “mi sarò stat l’unico, sempre domandando, che i me a asà vender all’asta” e questo è sicuramente legato alla mia lunga frequentazione a questo mercato, “mi là i me cognos tutti e de spes compre animai da lori”, “là se ti se a posto ti se della sua, se no i te cancella subito”. Negli anni passati, prima che l’Alto Adige incentivasse l’utilizzo delle loro malghe, molti erano gli allevatori, soprattutto della zona di Nova. Levante e San Gennesio che d’estate mi affidavano i bovini e i cavalli da alpeggiare e così sono sempre rimasto in buon contatto con loro e l’asta è ancora un buon momento d’incontro.

Molto bella e famosa è l’asta dei buoi che si tiene una volta all’anno, qui vengono esposti dei buoi che raggiungono anche i 10 quintali di peso che poi normalmente vengono acquistati come animali da affezione e tenuti come un simbolo di forza di prosperità.

D: La tua ospitalità è arcinota, alla Valaza il tuo Stammtisch è sempre occupato dalle persone più disparate: paesani, turisti, allevatori, preti e per ognuno trovi gli argomenti di cui parlare e un bicchiere di vino da condividere, più volte ti ho sentito dire “con una mano si dà e con una si riceve”, è ancora così importante anche ai tempi nostri questa filosofia di vita del dare per forse poi ricevere?

R: “Si, parché tela vita par poder aver ghe vol anca dar”.

D: Con il Mario del Valles, con cui avete condiviso più di 70 anni di buon vicinato, che rapporto hai?

R: Siamo sempre stati in ottimi rapporti, e quando ci incontriamo non beviamo certamente latte. Lui ci ha sempre aiutati, quando avevo Lucia e Maria piccole lui ci dava la corrente dalla sua centralina, tutto era precario un cavo elettrico da un larice all’altro, ma così la sera potevamo accendere due misere lampadine, “le fea pi scur che ciar”, poi con il contributo della Provincia tramite il Comprensorio ci hanno costruito la nostra centralina.

D: Hai qualche particolare fatto da raccontarci legato alla Valaza?

R: Di fatti da raccontare ne avrei tanti, ma questo lo ricordo come fosse stato ieri. Era il mese di ottobre del 1987 e un pomeriggio iniziò a nevicare, noi con parte degli animali eravamo ancora alla Valaza, verso sera vedemmo arrivare da Paneveggio il Mario del Valles con un vecchio Unimog e a fatica riusciva ad aprire nella neve una traccia sulla strada, si fermò alla malga e l’Adriana vedendolo tutto bagnato ed infreddolito gli preparò una tazza di latte caldo con un po’ di grappa. Prima di lasciarci mi chiese se la mattina seguente potevo scendere verso Paneveggio con lui per dargli una mano vista la copiosa nevicata e la presenza di numerosi alberi schiantati lungo la strada. E così fu, lui il mattino seguente impiegò più di un’ora per scendere dal Valles alla Valaza da quanta era la neve. Per farla corta siamo partiti dalla Valaza alle nove il mattino e ci siamo incontrati ai Cimiteri alle tre del pomeriggio con una squadra di operai del Demanio che venivano da Paneveggio. “Mi a quei tempi avee na 128 e sul quert della macchina avon misura en metro e sesanta de neu e l’era sol el mes de otobre”.

D: E qualcosa legato alla tua vita?

R: “Me son marida cola Adriana Simion (dei Gioti) el 5 de otobre del 1963”. La vigilia del matrimonio ho portato la mia automobile “che l’era na Giardineta” alla Esso di Fiera per farla lavare e pulire. Quando andai a ritirarla mi accompagnò il “Toni dei Rochi” (Antonio Depaoli) con un’altra auto e ci fu un incidente con una vettura che proveniva dalla festa di Santa Barbara che si teneva a Castelpietra. “Festa l’e festa” e quelli dell’altra macchina erano completamente “ciuchi”. Toni, che guidava, era senza patente e ai numerosi intervenuti e ai carabinieri mi sono dichiarato io autista. Per indagare sul fatto, siamo stati portati in caserma e trattenuti a lungo, quasi da passarvi tutta la notte e rischiare di mandare a monte il matrimonio. Per fortuna o per pietà dell’arma tutto andò a buon fine e il giorno seguente ci fu il mio matrimonio e fu gran festa.

D: Tu in primavera ed in autunno sei il primo ad alpeggiare e l’ultimo a far rientro a casa dalla malga, che cos’è che ti tiene là?

R: “La Valaza l’e la me vita”, sono più di 70 anni che trascorro là l’estate, là ho visto crescere la mia famiglia, i miei figli i miei nipoti, mi sono sempre adattato a come erano le cose, ho visto trasformarsi la malga “da en tugurio onde che a ogni temporal vegnea entre i straventi ai ultimi laori che i a fat 3 anni fa” adesso la malga è vivibile e non posso che ringraziare il comune per i lavori fatti. Ci sono stati anni in cui ero là già nel mese di aprile e tornavo a casa con gli ultimi animali in dicembre quando si gelava l’acqua della centralina e per gli animali. “Là el mondo el le pi grant, son pi libero, pi a contatto cole persone, e i animai i e pi tranquilli”.

Aquile Magazine