È spontaneo ed innato in tanti di noi ricercare le proprie origini e la storia dei nostri antenati. Allora si cercano documenti storici, quadri, affreschi, ma anche e soprattutto gli attrezzi che segnavano la vita quotidiana.
San Martino di Castrozza era, fino a qualche secolo fa, un transito di pellegrini, ma in special modo nei periodi estivi, l’area dell’alpeggio; dal fondovalle salivano le mucche, trovando dei pascoli ottimi, ma gli uomini dovevano pensare a procurare il fieno per l’alimentazione durante l’inverno dei loro animali. Ecco che allora salivano in quota i ragazzi che facevano i pastori, mentre gli adulti portavano con loro la falce, il rastrello, la portacote e una piccola incudine per battere, in caso di necessità, la lama di ferro.
Si parla scioccamente di ‘arte povera’, forse perché il mondo da cui provengono questi attrezzi era contadino e non finanziariamente benestante.
In realtà, si deve parlare di ‘arte vera’, perché anche il più piccolo strumento o il più semplice portafalce riesce ad esprimere una cultura ed una storia profonda e curata, come eccellente, proporzionata ed armonica è la scultura del portafalce nel suo insieme.
Erano contadini, scolpivano la sera dopo una giornata di duro lavoro, non avevano strumenti moderni, ma riuscivano a realizzare delle opere che oggi ci stupiscono per la loro eleganza e sono esposte nei musei.
La fienagione veniva fatta dall’uomo, che provvedeva allo sfalcio, e dalla donna che completava il lavoro con il rastrello. Ed era quasi sempre la moglie che regalava al marito il portafalce e ne è riprova che alcuni di questi attrezzi riportano dipinti gli uomini che falciano e le donne che osservano con in mano il rastrello.
Ma la falce era pericolosa e lungo i sentieri poteva causare delle ferite non facilmente curabili. Inoltre, lassù negli alti prati e nei vicini boschi, c’erano sicuramente i draghi, i demoni o i serpenti che potevano aggredire questi contadini impegnati nel loro lavoro. Per prevenire incidenti, ma soprattutto per rafforzare le preghiere, pensarono allora di proteggere la lama della falce dentro un fodero di legno scolpito, capace di contenere il ferro tagliente, fissato con delle piccole cinghie di pelle, e di cercare un aiuto contro i mostri della montagna, scolpendo una testa di drago se non addirittura il diavolo, come si può vedere nelle fotografie di alcuni portafalce.
Quando si ricerca il nostro passato diventa difficile ritrovare questi attrezzi, e quando si trovano presso qualche anziano contadino, si portano a casa e si tengono gelosamente esposti. Ma la cosa più importante è poi tenerli in mano, studiare la loro lavorazione, se non il coltello ed il colore, pensando che sono stati realizzati trecento anni orsono con i pochi strumenti che avevano.
Più d’uno di questi meravigliosi attrezzi riporta la data dell’ultimo proprietario, in quanto venivano poi trasmessi al figlio primogenito, il monogramma di Maria e quello di Cristo. Ma la cosa interessante e simpatica sono le scritte incise normalmente su un lato del legno, quasi sempre con il monito sul dovere del lavoro. Tra alcuni portafalce della mia personale raccolta, appaiono queste scritte così sintetizzate:
“Se la falce non taglia, il falciatore non vale nulla. Se la bella non parla, tanto più coraggio ci vuole”.
“Guarda tre volte per la tua buona sorte. Se il falciatore è bravo, anch’io tiro bene il rastrello”.
“Se falci bene quest’inverno ti farò da mangiare. Se non falci bene non avrai i miei piaceri.-”
Le foto rappresentano dei portafalce in legno di cirmolo:
il primo con la testa di drago, il secondo dipinto con la testa di drago, la falce inserita ed il simbolo di Maria, il terzo con il diavolo in posizione inequivoca ed il quarto con la testa di drago, i fiori ed il simbolo di Cristo.
Sono tutti tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo.
Maurizio Toffol – Nato a Transacqua nel 1948, abita da sempre a San Martino di Castrozza. Laureato in architettura nel 1973 a Venezia, esercita da allora principalmente l’attività di architetto. Parallelamente alla professione, che svolge principalmente nella vallata di Primiero, approfondisce da sempre il mondo dell’arte pittorica, specie per quanto interessa le Pale di San Martino. Segue soprattutto l’antiquariato, con alcune ricerche specifiche legate alla quotidianità della vita contadina e sociale dei trascorsi ultimi cinque secoli, raccogliendo oltre gli oggetti anche tutta la bibliografia possibile.