Cover Stories, Le Guide Alpine Oggi, Sua maestà la cima

Ice climbing e Dry Tooling di Casa Nostra

Testo: Renzo Corona - Guida Alpina| Foto: Renzo Corona e Flavio Piccinini - Guide Alpine

Il 20 e 21 dicembre 2015 Renzo Corona e Flavio Piccinini hanno aperto Stralasegne (500m, M5 e 1 pass. M6), nuova via alpinistica di misto sulla parete Nord della Pala di San Martino. Il racconto di Renzo si fa pura emozione e parte da lontano.

Raccontare o spiegare questi due anglicismi è un po’ come raccontare uno spaccato di storia dell’alpinismo invernale: nell’arrampicata, prima si usavano le scarpe “da gatto” poi gli scarponi (verso gli anni ’50-’60), adesso si usano le scarpette ed altri materiali ultra leggeri e tecnici per rendere quella libertà di movimento e di spirito che l’arrampicata esige. Anche l’arrampicata su ghiaccio ha avuto la sua evoluzione negli anni: all’inizio i ramponi e le piccozze si usavano solo sui ghiacciai, attraversate, esplorazioni e salite alle montagne più alte ricoperte da ghiaccio e neve perenne. Poi, ecco le prime salite ai canali più ripidi con tratti di ghiaccio e neve (inizio Novecento). Nella zona delle Alpi Occidentali, la ricerca di colatoi (in francese goulottes) sempre più ripidi e con tratti di roccia, ha portato ad un’obbligatoria evoluzione dei materiali: ramponi più leggeri, monopunta, piccozze con il manico e impugnature ergonomici, punte intercambiabili, chiodi da ghiaccio leggerissimi con una buona capacità di perforazione, e una ricerca costante per alzare le difficoltà delle salite.

Ecco che nelle Dolomiti si scoprono le cascate ghiacciate: sono tantissime e tutte diverse, ovunque, una manna per i ghiacciatori dolomitisti che hanno un terreno di gioco vicino a casa (“È lunga andare verso il Monte Bianco, Monte Rosa, Eiger e altre”).

Poi piano piano l’arrampicata su cascate di ghiaccio è diventata quasi uno sport a sé, con innumerevoli siti e praticanti, guide, corsi, materiali specifici, incidenti che hanno portato ad un’evoluzione delle tecniche di soccorso su cascata.

In tutte le Alpi e non solo, esistono cascate attrezzate con soste fisse, migliaia di ghiacciatori sempre più affamati di nuove linee; le guide alpine hanno una parte del loro lavoro invernale che si svolge su questo terreno.

Ormai le salite alle cime più alte, le goulottes o le più famose salite come la parete nord delle Jorasses, dell’Eiger, del Cervino, i pilastri del Monte Bianco e tante altre che hanno fatto la Storia mondiale dell’alpinimo sono terreno per pochi alpinisti un po’… nostalgici: “meno fatica ed impegno andare una giornata a Sottoguda o una delle tante e fare un po’ di tirì con avvicinamento in massimo venti minuti”.

Anche in giro per il mondo c’è stata una evoluzione dell’arrampicata su ghiaccio: da anni in Russia si fanno delle gare di velocità su strutture artificiali ghiacciate e i primi chiodi daghiaccio “tubolari” erano prodotti in Russia. Qualcuno di noi ricorderà ancora gli amici dell’Est, del buon Tito del Cant del Gal.

Arrampicata mista, si diceva, poi sempre più su di difficoltà, tanti tratti di roccia da scalare con piccozze tutte curve stranissime e ramponi leggerissimi fissati su scarpette quasi da arrampicata, vie attrezzate dall’alto con gli spit, palestre dedicate a questa disciplina, ricerca maniacale di quelle piccole colate di ghiaccio sospese nel vuoto, posti impensabili fino a pochi anni fa.

I chiodi al titanio che ci lasciavano erano una rarità, ed eravamo nei primi anni Ottanta.Altra zona con una sua storia, è la Scozia: montagne basse con un meteo imprevedibile, correnti fredde e umide del Mare del Nord che imbiancano le montagne del Nord della Scozia come dei panettoni di glassa bianca, pareti di cento, duecento metri ricoperte di questa crosta bianca, qualche colata di ghiaccio. Già nei primi anni Trenta là scalavano queste strane (per noi) montagne, vicino al mare, basse di quota (max 1300/1500 mt), linee di salita sempre più difficili, gradi di difficoltà diversi dai nostri e quindi un po’ difficile confrontarsi, però poco ghiaccio, roccia incrostata, quindi protezioni anche da roccia, ramponi e piccozze che rimbalzano perché su roccia non si piantano… Ecco il dry tooling, che da noi si pratica da una decina d’anni, là da cinquanta!

Con internet lo scambio di notizie e novità è facilissimo, quindi anche l’evoluzione di questo strano sport, che ormai vede gare internazionali, meeting e centinaia di appassionati.

I Nostrani non hanno dormito in

questi anni. Anche da noi ci sono tante belle cascate, come in Val Noana, la vicinanza nell’Agordino di Sottoguda e di Gares come terreno di allenamento. La facilità di spostamenti nelle valli vicine ha favorito la pratica dell’arrampicata su ghiaccio anche tra i primierotti. Negli ultimi anni, per mano di qualche appassionato, sono state at-

trezzate anche delle piccole palestre di dry tooling.

Come nell’arrampicata, anche nel ghiaccio la tecnica sempre più evoluta ha portato ad una riscoperta di linee nuove, ad un uso di protezioni naturali e veloci sia per etica che per velocità, una ricerca quasi maniacale in inverno di queste pareti che si trasformano… si “vestono” con questi veli ghiacciati che da un giorno all’altro svaniscono.

Le montagne del Brenta hanno la particolarità che in cima spesso hanno questi piccoli nevai pensili che in inverno lasciano “colare” queste linee di ghiaccio. Le prime salite di dry in Dolomiti sono in quella zona (“Lisa dagli occhi blu” e altre); anche nella zona del Sassolungo e del Sasso Piatto ci sono vie di questo genere (Pordoi, Vallunga e altre).

“E le Pale? Tutte a punta, aguzze e verticali, possibile che non ci sia niente di interessante? Sempre leggere di vie in giro e qua niente, a forza di girarle ‘ste Pale le conosci, le vivi con le loro trasformazioni legate al meteo, e quando è brutto tempo e non c’è nessuno in giro ti senti più vicino a loro”.

Verso la fine di novembre, diversi anni fa, su per la forcelletta, pareti che conosco bene, già sulla parete nord della Pala ho fatto diverse vie nuove: “Che bel”, penso e le riguardo e torno qualche anno indietro con la memoria;

poi quella riga di ghiaccio la me tira l’ocio. “Ma pensa tu”, dico , “una riga che parte dalla cima fino al ghiacciaio, al centro della parete, possibile che nessuno l’abbia mai vista prima… Logico no? Qua in inverno si viene con gli sci, non si notano cascate o robe simili. Appena apre la funivia ci metto su le mani”.

Dicembre, su e via a vedere… e che cavolo! “Dov’era… solo roccia, mah”, penso, “strano…” e avanti così per qualche inverno. Il buon Kermit avrà perso il conto dei giretti fatti su per le creste a far foto. Un dicembre decido di metterci su le mani. Come avremo fatto ad indovinare uno dei giorni più freddi di quell’inverno ancora non lo so… “Che bel però un ambiente unico e severo, due tiri e via alla funivia, se no i finis la bira”. Non è facile mettersi in testa una via nuova su una parete nord così, in inverno (sono stati grandi i Finanzieri anni prima sulla Solleder). Mi trovo bene con il Flavio, con le stesse idee di cercare nuove salite. È inevitabile raccontarsi e condividere progetti. “Andiamo a vedere allora”. Quando si dice una bella cordata, vuol dire tanto, parlar poco, avere le idee simili e saper ascoltare l’altro. Non siamo tutti uguali, arriviamo fino a metà circa: ghiaccio poco, avevamo deciso di tornare giù la sera. “Va bene così, peccato però”, ci diciamo. “Non importa, non scappa, sicuro. Che bella parete” pensiamo tutti due, “Bisogna finire ‘sta via…”.

Poi neve, anche l’inverno successivo, parete sempre con la panna montata ovunque e penso alle croste scozzesi: “Mah, il Kermit sarà stufo di vederci su per quelle creste”. “Sta volta me ne frego”, dico a Flavio. “Ghiaccio o no andiamo su”, e così sia: funivia, zaini alla Casarotto, roba da bivacco, forcelletta… Parete pulita senza neve, però la riga bianca si vede.

Su i primi cinque tiri dell’altra volta, è già scuro ad inizio dicembre alle quattro. “Varda che bus là”, perfetto per bivaccare, parapetto di neve e Rosetta con Cimon della Pala al tramonto… serve altro? Mattina: sempre un po’ fatica uscire dal sacco a pelo, ma la voglia di andare a vedere il sole in cima fa miracoli, un po’ di gesti atletici e Flavio salta sopra la grotta, poi su ancora tratti di ghiaccio e roccia, un tiro di neve dura, sosta… e siamo in cima, proprio a due passi dal nuovo bivacco delle “Guide Alpine”… “Che bello sentire il sole, guardare verso il Sass Maor e darsi la mano e sentire le stesse cose, proprio bel”!

Aquile Magazine