Testo: Duilio Boninsegna - Guida Alpina | Foto: Poci's
La guida alpina Duilio Boninsegna gestisce assieme alla moglie Pierina e al figlio Luca, anch’egli guida alpina, il Rifugio Pradidali. Il suo non è un lavoro, lo si intende bene leggendo le emozioni che esprime, vivendo ogni attimo libero nel cuore delle Pale di San Martino.
I miei momenti migliori al rifugio non sono tanto le splendide giornate estive di sole con tanti escursionisti allegri e vocianti che arrivano dai sentieri delle Pale, con i gruppetti colorati di ogni nazionalità che percorrono le ferrate, i richiami degli alpinisti, il tintinnìo dei moschettoni sulle vie di arrampicata e i tanti amici che ci vengono a trovare. Sono forse più quei giorni di Primavera inoltrata con il sentiero che sale dalla Val Canali ancora pieno dei residui della neve invernale, o ancor più le splendide giornate autunnali con il sole ancora caldo e l’aria frizzante quando salgo per i lavoretti di apertura e di chiusura. Di solito sono solo e cammino senza fretta, senza pensieri, senza l’ansia di dover organizzare il lavoro della giornata, mi posso godere le montagne, le sento mie, parlo con loro, a farmi compagnia solo le zòrle che conosco ormai una per una e anche con loro faccio dei gran discorsi. Se qualcuno mi sentisse, mi prenderebbe sicuramente per matto.
Una volta arrivato in quello splendido e arroccato avamposto nell’alta Val Pradidali, dopo aver ripreso fiato, mi siedo nella luminosa veranda, e dai finestroni vedo le grandi pareti, le torri e i campanili di roccia che mi circondano e immagino il film di quasi centovent’anni di storia che questo magnifico rifugio nel cuore delle Pale ha attraversato
Rivedo il primo piccolo cubo costruito dalla sezione di Dresda del
DOeAV, il Club Alpino tedesco nel lontano 1896. Era un’altra epoca, un altro mondo, le attuali Dolomiti trentine e gran parte di tutte le Dolomiti erano parte del Tirolo storico e quindi del grande Impero Austrungarico: si sentiva nell’aria il profumo della Mitteleuropa e l’eco dei valzer di Strauss, la splendida Val Canali era all’inizio della sua esplorazione alpinistica, San Martino agli albori del suo splendore e i suoi lussuosi hotel frequentati già dall’alta borghesia del mondo tedesco. Erano gli anni favolosi della “Belle Epoque” e di Arthur Schnitzler che nella stessa San Martino ambienta il suo celebre romanzo “Fräulein Else”.
L’alpinismo era un’attività per pochi, la maggior parte aristocratici; è l’epoca d’oro delle guide alpine che, assieme ai pochi albergatori, sono i primi veri operatori turistici della nostra e delle altre valli alpine.
Dopo il periodo delle prime ascensioni da parte delle stesse guide alpine con i pionieri, perlopiù intellettuali inglesi del periodo vittoriano, l’attenzione pian piano si rivolge alle pareti più difficili con i camini, le fessure, gli spigoli affilati di roccia e attorno al Pradidali non c’era che l’imbarazzo della scelta per gli alpinisti che arrivano da mezza Europa. Nel 1913 la cordata tedesca di Karl Plaikinger e Rudolf Hamburger impegnata in una serie di prime ascensioni nell’alto Valon de le Lede ha come base il Pradidali, e nei loro scritti lo descrivono in modo quasi affettuoso per l’ospitale accoglienza e il suono del Nebelhorn (corno per la segnalazione nella nebbia) che accompagna gli alpinisti nelle scalate e con il suo tuut-tuut ne segnala festosamente l’arrivo in vetta. Plaikinger e Hamburger lo sentiranno più volte nella loro permanenza in zona.
I due scalatori, tornando la sera al rifugio, ne descrivono l’atmosfera festosa con la squisita torta di ciliegie tanto sognata durante la lunga giornata in parete. Atmosfera che tuttora si può vivere nelle sere d’estate al Pradidali, ma che nel 1913 ha irrimediabilmente il sapore della fine di un’epoca. È infatti destinata a durare poco, di lì a breve arriverà la guerra e l’alpinismo resterà sospeso.
Le Dolomiti e le persone ci metteranno molti anni a rimarginare le ferite di quella terribile guerra; forse non sono sparite del tutto neanche ora dopo un secolo, seppur in una situazione completamente diversa perché il territorio è diventato italiano, l’alpinismo riprenderà presto vigore. Il Pradidali che nel frattempo era anche stato ingrandito, passerà in proprietà alla sezione del CAI di Treviso, che lo seguirà nel tempo con passione, curandone varie ristrutturazioni e ammodernamenti fino ad oggi.
Le Guide Alpine e gli alpinisti tornano a frequentare le pareti delle Pale; negli spartani giacigli del piccolo rifugio, trascorreranno le notti inquiete prima delle scalate i grandi alpinisti del tempo. Immagino i volti dei grandi arrampicatori della scuola di Monaco, del leggendario Emil Solleder che con le Pale aveva un rapporto speciale tanto da aprire ben cinque vie nuove nei dintorni, ma anche dei fortissimi Wiessner, Kees, Rossi, Simon attratti soprattutto dall’affascinante parete Ovest della cima Canali e dalla grande Est del Sass Maòr.
Gli anni ‘30 sono il periodo di Ettore Castiglioni che con la guida Bruno Detassis esplora in modo sistematico molte pareti delle Pale, tracciando molte delle più belle vie classiche.
Di questo periodo ricordiamo la famiglia Dalla Piazza di Primiero, che gestirà il rifugio per un periodo molto lungo a cavallo della seconda guerra mondiale.
Gli anni ‘50 iniziano con l’impresa del grande alpinista di Innsbruck Hermann Buhl, che sul più elegante dei pilastri della cima Canali apre una via stupenda, un vero capolavoro dell’arrampicata dolomitica, rimasto tale anche dopo sessant’anni, tuttora meta di arrampicatori da tutto il mondo.
I tempi cambiano e i numeri degli alpinisti e degli appassionati aumentano, tanto che la sezione di Treviso del CAI decide per un’importante ristrutturazione. Nel 1960, dopo duro lavoro e tante fatiche, viene inaugurato un rifugio completamente rinnovato e affidato alla gestione della famiglia Kinspergher che lo curerà con passione per una ventina d’anni. Nei primi anni ’60, sarà la casa per le “vacanze” alpinistiche di grandi personaggi come Re Leopoldo del Belgio e lo scrittore Dino Buzzati, entrambi appassionati scalatori e amici della guida Gabriele Franceschini: scaleranno con lui alcune belle vie della conca del Pradidali. Nei suoi scritti, Re Leopoldo ricorda che nei momenti liberi si poteva giocare a bocce in un campo apposito allestito all’esterno del rifugio.
Ma è il tempo del cambiamento dell’alpinismo, del nuovo mattino, dell’arrampicata libera estrema, dei capelli lunghi, le leggere scarpette d’arrampicata al posto dei vecchi e pesanti scarponi, i nuts, i friends: è l’epopea di Manolo, che facendo base fissa al Pradidali, con tanti amici di Primiero e Feltre, apre una serie di difficilissime vie al massimo delle difficoltà dell’epoca. Narci, Pol, Luca, Enrico, Mariano… Tutti ragazzi che hanno vissuto quel tempo, aiutavano al rifugio, arrampicavano e facevano festa, ora sono tra le colonne portanti delle Aquile di San Martino di Castrozza e Primiero, guide alpine esperte e ormai non più “ragazzini”.
Dopo la famiglia Kinspergher, negli anni ‘80 la gestione viene affidata alla Guida Alpina Silvio Simoni, che con Santina condurrà il rifugio con competenza e professionalità fino a noi.
Sembra ieri quando nel giugno 1995 sono salito per la prima volta con Piera e i nostri figli: Niki non ancora quindicenne e il piccolo Luca di 8 anni, che già 3 o 4 anni dopo avrebbe salito la fessura Buhl, e tirava da primo sui 4° e 5° gradi del Campanile, della Torre e della Wilma. Non mi pare vero, ma sono già passati vent’anni, vent’anni di avventure. Ogni stagione in rifugio è diversa dalla precedente e ognuna è una piccola avventura, vent’anni di gioie, di soddisfazioni, ma anche di difficoltà di ogni genere, di momenti felici, ma anche momenti di grande tristezza quando degli amici sono partiti il mattino felici con la corda sulle spalle e non sono più tonati la sera, dei momenti drammatici dei tanti soccorsi, a volte da solo, di notte, con il brutto tempo, spesso senza dire niente a nessuno perché queste cose fanno parte del lavoro del gestore di rifugio e non serve raccontarle in giro. I bei ricordi delle scalate con i clienti e con gli amici, sempre di fretta perché bisogna tornare al rifugio per mezzogiorno, quando arrivano gli escursionisti. Ricordo in particolare una scalata velocissima sulla Buhl con mio figlio Luca e l’amico Sep: Luca aveva solo 13 o 14 anni e si fece tutta la via da capocordata con due guide come secondi, usciti al mattino presto dalla porta del rifugio e ritornati alla stessa porta in poco più di quattro ore, pronto a mettermi dietro il banco del bar perché era una bella e affollata giornata d’agosto.
Ci terrei a ricordare le donne del Pradidali: l’Erminia, l’Edvige, la Rita, la Santina, la Dolores, la Piera e tutte le altre che ora non mi vengono in mente: le donne sono la vera anima e il cuore dei rifugi, senza di loro è meglio cambiar lavoro; ma anche tutte le famiglie, i figli, i collaboratori. Vorrei tanto nominarli tutti, ma sono tanti e rischierei di dimenticare qualcuno: ognuno di loro ha lasciato qualcosa di sé in quel meraviglioso angolo delle Pale.
La maggior parte di chi arriva salendo dalla val Canali, da San Martino o scendendo dal grande altopiano, vede solo un piccolo rifugio d’alta montagna in mezzo ad altissime pareti di roccia: io in questa casa vedo molto di più. Vedo la testimonianza di oltre un secolo di storia delle Dolomiti, delle nostre Pale, della nostra valle, dei tanti alpinisti che su queste pareti hanno arrampicato, dei tanti Primierotti che al Pradidali hanno lavorato, sudato, faticato. È un luogo per me quasi sacro, dove da vent’anni ho il privilegio di trascorrere le estati della mia vita insieme alla mia famiglia.