Vivere in Montagna

Il ritorno del”asino

Testo: Luciano Gadenz - Guida Alpina | Foto: Valentina Musmeci e Pierluigi Orler

Tra il bue e l’asinello… una certa notte del 25 dicembre… nacque Gesù.
La storia è divisa da questa data, prima di Cristo, dopo Cristo… e un Asino era là.

Quando si dice asino, viene subito alla mente l’epiteto negativo sentito spesso in casa o a scuola, sinonimo di ignoranza, indolenza e cocciutaggine. Molti termini e proverbi riguardanti questo animale accompagnano la vita dell’uomo.    

“Chi asino nasce, asino muore”, “È meglio un asino vivo che un dottore morto”, “È meglio prendere dell’asino che del porco”, “L’asino si riconosce dalle orecchie, il fesso dalle parole”, “Voce di asino non va in cielo” e nel dialetto primierotto: “Testòn cofà’n musàt”, “Quel musàt nol capìs ne trum ne àri”, “Quando el sol el tramonta i aseni i se impronta”, “La mort de la musa” solo per citarne alcuni.  

Tutti questi modi di dire e i significati simbolici collegati alla figura dell’asino fanno riflettere sul rapporto uomo- animale. L’uomo ha sempre condiviso spazi e risorse con gli animali, e millenni di convivenza hanno umanizzato l’animale, divenuto oggi mediatore con l’ambiente, protagonista di alleanze simboliche con la natura; lo stesso termine uomo deriva dal latino homo, relativo alla terra, mentre animale ha la sua origine in anima, come parte vitale e spirituale di un essere vivente. Ed è dalla capacità di mediazione tra uomo e natura che molti animali sono stati resi sacri: l’elefante per gli Indù, il gatto e l’ibis per gli Egiziani, il giaguaro nelle civiltà del Sud America e molti altri.
Anche l’asino è stato caricato di diversi significati spesso contrastanti: sacro o diabolico, spesso di non chiara interpretazione antropologica. In Cina ed in India è cavalcatura di entità celesti, di principi e di eroi; nelle culture mesopotamiche rappresenta regalità e saggezza e le lunghe orecchie sono l’organo con cui si accede alla conoscenza del mondo invisibile, concetto ripreso successivamente dal Buddismo come attestano le lunghe orecchie nella rappresentazione del Buddha.

Nell’antico Egitto, l’asino è sacro a Seth, simbolo malvagio legato alla terra. È poi sacro nel Medio  Oriente per gli Ebrei, per cui l’asino è legato a Saturno fino ad arrivare ai Romani, che riprendendo la mitologia Greca, pongono l’asino nel culto di Dioniso e di Apollo. Ma è nella Bibbia e nel Vangelo che la nostra cultura trova racconti e immagini riguardanti l’asino. Nella profezia di Zaccaria troviamo la venuta del Messia “Ecco, a Te viene il suo Re/ Egli è giusto e vittorioso/  Umile, cavalca un asino/ un puledro figlio di asina”. Qui l’asino è da una parte cavalcatura dei re e degli immortali e dall’altra cavalcatura modesta, segno di umiltà. Profezia che si avvera nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme la domenica delle Palme.

In epoca medievale, l’interpretazione negativa dell’asino come animale malvagio, simbolo delle forze del male, viene dominata da Cristo che le cavalca. Nel Medioevo, l’asino viene infatti caricato di nuovi significati: a fianco dell’umiltà e della mitezza, si sovrappongono l’ignoranza, la pigrizia, la testardaggine e una sfrenata lascivia. Ciò perché la grandezza del suo organo sessuale, simbolo rigenerante, rimandava ad antichi culti pagani, inaccettabili per la cultura cristiana del tempo che vi ritrovava uno degli attributi del diavolo che richiamano il peccato.

Nell’arte, l’asino accompagna l’uomo fin dalla preistoria in tutta la sua evoluzione culturale, ma è dal Rinascimento che abbiamo le immagini più radicate. Basti pensare alle pitture e alla cultura del presepio. I capolavori di Giotto e del Beato Angelico con le rappresentazioni del presepio e della Fuga in Egitto sono impresse nei nostri occhi, dandoci dell’asino quasi una figura di protagonista.

Nella letteratura, dall’antichità ad oggi, ci sono giunti mitologie, favole e racconti importanti per la figura dell’asino, molti dei quali toccano il tema della metamorfosi come “Pelle d’asino” e “Pinocchio” di Collodi. Famosa la figura di Sancho Panza con il suo asino nel “Don Chisciotte” di Cervantes, in cui insieme all’ignoranza delle cose cavalleresche è rappresentato il solido buon senso popolano dell’esperienza quotidiana.
Ma andiamo a riscoprire più da vicino questo animale nell’attualità.

La sua origine è il Medio Oriente, in ambienti dal clima secco. È utilizzato fin dall’antichità come animale da fatica per il trasporto di pesi e nelle dure attività quotidiane. Con la meccanizzazione dei trasporti, viene utilizzato progressivamente meno e l’uso sempre più sporadico lo ha portato vicino all’estinzione, oppure lo ha ridotto a produzione di carne, salumi e stufati o utilizzato nelle Sagre paesane con improbabili palii o corse dagli esiti talvolta grotteschi. A partire dagli anni ottanta del secolo scorso, l’asino vive un periodo di riscoperta: il suo valore come compagno di viaggio, rivalutandone la presenza nelle zone montuose in una prospettiva ecologista. Oggi è entrato in molti progetti di recupero ambientale per la forte capacità di pascolamento in aree a rischio di abbandono e di incespugliamento. Viene inoltre incrementata la produzione di latte d’asina sia per l’alimentazione umana (è il latte più simile a quello umano), che per l’utilizzo nella cosmesi (è famoso il bagno in latte d’asina nella storia nell’antica Roma). Per la sua docilità e dolcezza è molto utilizzato nella pet therapy (terapia dolce con gli animali ) e nelle fattorie didattiche. Ma è come compagno di viaggio nelle escursioni di uno o più giorni, che troviamo il maggior interesse odierno.

In Italia, sono conosciute sette razze ben definite: Amiata, Asinara, Pantesco, Martinafranca, Ragusano, Romagnolo, Sardo e tutta una serie ibrida poco definita. Non è il cugino povero del cavallo, ma specie ben definita: la sua vita può durare a lungo fino quasi a trent’anni, ha una gestazione più lunga del cavallo (dodici mesi) e per la sua fisiologia è poco indicato alla sella. 

Il suo carattere è tranquillo, prudente, fedele, sicuro, abitudinario, paziente e ubbidiente, mentre la proverbiale testardaggine non è altro che una prevenzione riflessiva del non conosciuto.
Chi ha avuto modo di camminare con un asino, si è trovato spesso a fermarsi per una semplice pozzanghera o per una canaletta di scolo attraverso la strada o per una griglia, ed allora, dopo un periodo di stasi con il deciso rifiuto da parte dell’animale a progredire, assistere dopo un tempo più o meno lungo, ad un salto record. Ogni animale ha una propria personalità che va riconosciuta e rispettata, onde evitare situazioni complicate. Ci si trova talvolta a chiacchierare con l’animale che diventa così non solo semplice trasportatore dei nostri bagagli, ma vero e proprio compagno di viaggio, sperimentando un aspetto più calmo e riflessivo della camminata stessa. 

Entriamo così nella filosofia del camminare lento chiamata trekking someggiato. Il procedere diventa più cauto, permettendo di assaporare piccoli dettagli, anche grazie alla diversa percezione dell’asino verso l’ambiente circostante; si è obbligati al ridimensionamento della velocità usuale dei nostri spostamenti, per consentire a noi ed all’animale di riposare e di godere scorci insoliti. Il camminare non è più una semplice modalità di muoversi da un luogo ad un altro, ma espansione dello spazio che dona all’escursionista la dimensione del tempo. Ci si riappropria così della semplicità del vivere, dell’essenzialità di alcune cose su altre. Il camminare diventa una leggera alternativa ad un sistema che non concepisce la sana perdita di tempo, ma che porta a mettere in discussione i fondamenti della nostra epoca, presa dal continuo correre. 
La compagnia di un asino può così diventare rigenerante e può aiutare ad abbassare i livelli di stress a cui ci obbliga la società contemporanea. La preparazione dei carichi prima della partenza, il carico sui basti, il percorso sui sentieri e le stesse operazioni di organizzazione alla sera portano ad una ritualità che assume aspetti di sacralità, inserita nella natura lontana dai problemi del quotidiano.

Quello che non è facile, è la rivalutazione dell’asino in questa nuova ottica, perché come diceva Albert Einstein: “È più difficile distruggere un pregiudizio che scindere un atomo”. 
Valentina Musmeci nel suo libro “Dove pensano gli asini”, Curcu&Genovese editori, entra in tale nuova filosofia di rivalutazione di “questo millenario compagno dell’uomo con cui ha vissuto mille avventure, sempre a fianco e sempre presente. Una presenza costante, sicura e protettiva. Ha portato pesi, ha sopportato ingiurie, ha subito il torto degli innocenti e le vessazioni di chi si sente più potente. L’asino è tornato. Non sui sentieri, lì c’è sempre stato. È tornato nei cuori della gente. Si è di nuovo ritagliato uno spazio, come sempre ha fatto.”

E allora potremmo diventare tutti un po’ asini: umiltà, pazienza, ubbidienza e una giusta dose di testardaggine, intesa come senso critico e autostima.

Aquile Magazine