Mirabilia

Impara un’arte e mettila da parte

Testo: Manuela Crepaz | Foto: Pierluigi Orler

Adriano Fontana ed Edoardo Barolo: due inestimabili Tesori viventi dell’Ecomuseo del Vanoi detentori dei segreti dell’arte del far ceste e gerle. Sono i custodi di un sapere millenario tramandato, non scritto.

En mes-cer no s’el impara, s’el roba”. Un tempo, infatti, non si apprendeva un mestiere sui banchi, leggendo libri o partecipando a dei corsi ad hoc, lo si “rubava”, o meglio, assimilava, osservando, ripetendo e riprovando, cercando di imitare l’artigiano che, di norma, non perdeva tempo in chiacchiere ed insegnamenti teorici. Appunto perché la tecnica era tramandata attraverso la pratica e non la grammatica, certe conoscenze, negli ultimi decenni, si andavano perdendo. Ed è grazie all’impegno dell’Ecomuseo del Vanoi che i saperi locali legati ai lavori, alle tradizioni, alla storia ed ai costumi di un tempo sono stati via via riscoperti e “messi al sicuro”. 

La Valle del Vanoi è fortunata ad avere il proprio Ecomuseo. È un patrimonio che custodisce, preserva, promuove, ma essendo un bene prezioso, allo stesso tempo va custodito, preservato, promosso. Per far ciò, va conosciuto, rigenerato e fruito. 

Siamo sicuri di sapere cos’è un Ecomuseo? Huges de Varine, che ne coniò il nome nel 1971, lo spiegava così, durante una conferenza del 2006, contrapponendolo al museo tradizionale: “Le musée normal est un bâtiment, une collection, des publics. L’écomusée est un territoire, des patrimoines, une communauté. Le musée normal, c’est de la culture “hors-sol”. L’écomusée, c’est un musée enraciné dans la culture vivante des habitants. Pour moi, l’écomusée fait partie des instruments de la dimension culturelle du développement local. Les musées ordinaires ont plutôt comme objectifs le développement de la culture, la conservation du patrimoine, l’accueil de touristes, la formation des écoliers, etc.”  

Ecco che il classico museo è un edificio fuori terra della cultura, che si caratterizza per essere un contenitore di collezioni in esposizione ad uso e consumo del pubblico e tra gli scopi ha quello di sviluppare cultura, di conservare il patrimonio, di accogliere i turisti e fare formazione. Mentre l’ecomuseo è radicato nella cultura viva e vitale degli abitanti, è uno strumento della dimensione culturale dello sviluppo locale.

Insomma, è un intero territorio, costituito dalle persone che lo vivono, frutto di ciò che hanno ereditato dal passato e che desiderano trasmettere e lasciare ai posteri, siano essi i propri figli o i visitatori di oggi e di domani. E l’Ecomuseo del Vanoi non fa eccezione, è un vero e proprio “patto con il quale la Valle del Vanoi si prende cura della propria comunità”, parafrasando Maurizio Maggi, per uno sviluppo locale e sociale che doni benessere agli abitanti senza comprometterne i valori tradizionali, che si fondano su sapere popolare e traggono beneficio dalla conoscenza scientifica.

La ricca guida pratica ai siti e agli appuntamenti del 2015 (chi non la trova cartacea la può scaricare dal sito ecomuseo.vanoi.it) ne spiega bene l’essenza: “L’ecomuseo dà valore alle persone, alle relazioni tra le stesse, al loro lavoro, alla loro cultura, alle loro specificità e peculiarità che le rendono uniche nel contesto territoriale, paesaggistico ed ambientale. L’ecomuseo crede e vuole farsi promotore di iniziative di sviluppo giusto e sostenibile, coerenti con l’identità e la vocazione del territorio, nella prospettiva di innalzare la qualità di vita delle persone che lo abitano e nell’ottica finale di arrivare alla costruzione di una comunità glocale”. 

Diversi sono i siti dell’Ecomuseo del Vanoi: la Casa dell’Ecomuseo a Canal San Bovo, la Stanza del Sacro a Zortea, i Molini dei Cainèri a Ronco, il Museo della Grande Guerra a Caoria. Lungo il Sentiero Etnografico del Vanoi, voluto e realizzato dal Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino, si incontrano il punto informativo di Caoria, Prà de Madègo, la Siega de Valzanca con il Bar a servizio, i Pradi de Tognola. Se vi par poco… Se non fosse un termine oggi abusato e utilizzato spesso a sproposito, si potrebbe parlare di eccellenze del Vanoi e di Primiero. Se poi si ha l’occasione di conoscere chi ci lavora, allora, tutta la filosofia sottesa si rende magnificamente esplicita e tangibile.

Il suo presidente, Daniele Gubert, ci spiega l’importanza dei corsi sui saperi tradizionali che l’Ecomuseo del Vanoi organizza durante i mesi autunnali ed invernali, ad uso quasi esclusivo dei residenti del Vanoi e di Primiero. Sono la base di una vera e propria mission, che riporta l’attenzione sull’uso sostenibile delle risorse locali. L’Ecomuseo del Vanoi è infatti un riuscito connubio tra un’associazione ed un’impresa culturale, un tentativo di sviluppo economico che mette in gioco ciò che c’è e che c’era. Si pensi infatti non solo alle numerose attività didattiche e di scoperta, ma anche ai prodotti acquistabili, che vanno dal trekking lungo il sentiero etnografico con pernottamento in baita, alla possibilità di affittare il compendio di Prà dei Tassi, dodici posti in confortevoli cuccette a castello per un week end o una settimana.

Un settore promettente è pure quello editoriale: è cominciata una collaborazione con la tipografia DBS di Rasai che ha permesso quest’anno la pubblicazione dell’antologia di poesie dialettali di Claudio Corona, dal simpatico titolo I dis che son poeta. Il libro, che raccoglie ricordi, esperienze, riflessioni sul paesaggio naturale, esistenziale e sociale del Vanoi in poesia, è in vendita alla Casa dell’Ecomuseo di Canal San Bovo; può essere anche spedito a casa. Più comodo di così…

Assieme a Daniele, abbiamo deciso di dedicare un approfondimento a due tra i primi tesori viventi scovati dall’Ecomuseo, Edoardo Barolo e Adriano Fontana. Chi meglio di Pierluigi Orler poteva catturarne l’essenza? Le sue fotografie sono straordinarie.

Silvia Gradin e Federica Micheli si sono fatte in quattro per aiutarci: Silvia ha seguito il loro corso di ceste e gerle e ci ha fornito preziose note su come nascono tali meraviglie; Federica ha fatto trovare a Pierluigi una location perfetta per lo shooting. Traducendo, Federica ha pensato che il luogo ideale per ambientare il set fotografico fosse il museo di Giovanni, fratello di Adriano, e ci ha accompagnati nella Val dei Faori. Lì, abbiamo trovato un delizioso spazio espositivo ad avvolto, ricco di attrezzi da lavoro, ritrovamenti di guerra, ricordi e fotografie collezionati nel corso degli anni per passione e per ingannare il tempo, come ci ha confermato il proprietario. In totale spirito ecomuseale, provengono tutti dal territorio del Vanoi e dai suoi abitanti. Anche Giovanni è un tesoro vivente: gaio e loquace, con lui si assapora il gusto della storia che si avvinghia alla tradizione, in uno scorrere lento del tempo.

Il tempo… è fondamentale per dar vita ad una cesta: trentadue ore per un cesto medio, venti per un cestino. Se si ascoltano Edoardo e Adriano, beh, loro sono di poche parole: guardare e imparare, questo pare il motto. Secondo loro, per fare un cesto non serve molto: coltello, mani in acqua e grembiule. 

La difficoltà maggiore pare essere quella di trovare rami di nocciolo lisci, senza nodi, da far stagionare per bene, almeno venti giorni. La stagionatura è fondamentale, perché dona la giusta elasticità per curvare il legno. Silvia ci spiega che i bastoni di nocciolo vanno tagliati alla fine dell’autunno o al più all’inizio dell’inverno, quando la fase vegetativa è sospesa. Dopo il riposo in una cantina umida o in un locale non riscaldato, sono pronti per la lavorazione. Per intrecciare una cesta di medie dimensioni, ad Edoardo ed Adriano occorre una decina di bastoni, mentre un principiante ne dovrà avere a disposizione almeno il doppio, perché la scarsa manualità li può spezzare durante la lavorazione. Del bastone di nocciolo non si butta via niente: dalla parte esterna si ricavano le fascette (scodérze) che si utilizzano per l’intreccio e le rifiniture della cesta. Normalmente se ne ottengono quattro di un centimetro. Dalla rimanente parte interna, si ricava il manico, che va messo a bagno per qualche giorno affinché prenda la forma rotonda, e si procede con il lavorare le rosette. Si aggiungono poi le schenèle, che vanno a costituire la struttura della cesta, e si è pronti per cominciare con il lungo e paziente lavoro ad intreccio. Silvia ci narra della maestria di Edoardo ed Adriano. Il primo tesoro vivente è stato Edoardo, Adriano era il suo allievo. In breve tempo, sotto l’attenta guida di Edoardo, Adriano ha raggiunto il maestro e hanno cominciato a tenere assieme corsi per il pubblico che diventa sempre più numeroso. In otto anni, sono stati oltre duecentocinquanta i frequentanti. 

Silvia ci spiega come la collaborazione loro sia preziosa non solo per la realizzazione dei corsi, dieci lezioni di due sere a settimana, ma anche per la presenza e la partecipazione ad eventi dimostrativi (Festival dell’Etnografia, Feste Vigiliane, Sagre paesane) atti a far conoscere in altri territori i saperi della Valle del Vanoi. Non a caso, Edoardo ed Adriano sono stati insegnanti di altri maestri cestai della Valsugana, permettendo loro di affinare la propria tecnica di realizzazione. Ed il bello è che i due non sono più soli: da qualche anno, Luigi Rattin ne segue le orme, collaborando attivamente alle attività dell’Ecomuseo.

Adriano Fontana ed Edoardo Barolo non sono i soli insegnanti esperienziali dell’Ecomuseo del Vanoi. Ci sono pure Primo Zortea, che crea rastrelli, protagonista di un servizio su Aquile n. 0 e Mariano Cecco, che insegna in inverno a realizzare le craspe per camminare nella neve e in estate l’uso della falce per lo sfalcio a mano dei prati. Ha imparato tutti i segreti e la tecnica dal padre e non ha mai smesso di affinarla sui ripidi pendii di Refavaie dove falcia “coi feri sot ai scarponi” per non scivolare. A chi gli chiede quali siano i requisiti per partecipare al corso, Mariano Cecco risponde svelto: “Passione, entusiasmo e volontà, perché l’uso della falce non è immediato come prendere in mano il decespugliatore. È indispensabile saper battere la falce ed utilizzare la pria”.  Anche lui, come gli altri, insegna per passione, con entusiasmo e volontà, cooptato dall’Ecomuseo del Vanoi. Disarmante la sua sincerità quando ci dice: “Su dieci che partecipano al corso, è raro che più di uno diventi un vero falciatore”. Ma vale sempre il detto: “Impara l’arte e mettila da parte”.

Aquile Magazine