Cover Stories, Sua maestà la cima

La via attraverso il gran pilastro

Testo: Trascrizione abbreviata a cura di Narci Simion - Guida Alpina | Resoconto di Gunther Langes

Resoconto di Gunther Langes della prima salita del Gran Pilastro il 24 luglio 1920 assieme a Erwin Merlet.

[…] Ci sono molte scalate nelle Dolomiti con roccia bella. Fra le più belle, la via attraverso il Gran Pilastro: verticale, con rocce solide come l’acciaio e grossi appigli, una scalata aerea sopra la parete Ovest a piombo e sopra la nera gola del colatoio di ghiaccio, un percorso attraverso un itinerario ideale nel più selvaggio paesaggio dolomitico. I ghiaioni dell’attacco si trovano circa 600 metri sotto di noi quando mettiamo piede sul rosso diedro sommitale. Due muraglie rossogialle convergono ad angolo retto ma quando eravamo quasi a metà del difficile diedro si scatenò un violento temporale.

[…] Restammo incastrati impotenti nella fessura; una parte del corpo era protetta, l’altra esposta al freddo getto dell’acqua.

[…] Poi la furia della tempesta diminuì, sembrava che il temporale avesse girato intorno alla montagna. Cascatelle scendevano dagli strapiombi della parte alta della fessura. La cosa migliore era raggiungere lo spigolo attraverso la parete sinistra della fessura del diedro. Una scalata non semplice. Durante il mio avanzare puntiglioso sulla ripida parete a braccia e gambe divaricate il vento furioso mi scagliò di nuovo in faccia zampilli gelati; un tuono scoppiò come se la scarica fosse partita dalla fessura. Questo secondo temporale imperversò come un agguato peggio ancora intorno allo spigolo. Andai a finire di nuovo nella fessura sotto l’ac-qua torrenziale e la penosa attesa nel bagnato e al freddo iniziava un’altra volta. Erano le 18 quando giungemmo all’ometto della vetta con gli abiti appiccicosi, avvolti in un mare impenetrabile di fredde nebbie serali. […] Sfogliammo con curiosità il bel libro delle presenze sulla vetta. La nostra cordata fu la prima dopo la guerra.

Erano le 18 quando giungemmo all’ometto della vetta con gli abiti appiccicosi, avvolti in un mare impenetrabile di fredde nebbie serali. […] Sfogliammo con curiosità il bel libro delle presenze sulla vetta. La nostra cordata fu la prima dopo la guerra.

[…] Quando la nebbia si alzava un po’, di colpo si ergevano in modo sconcertante torri rocciose come fantasmi che subito sparivano. Non si distingueva più nessuna direzione quando scendemmo lentamente sulla roccia ripidissima. Quando infine risultò impossibile proseguire sull’erta roccia, iniziammo decisi una calata corda doppia nella grigia nebbia. Fummo fortunati. Le estremità della corda penzolavano su roccette, dopo pochi passi appena sotto c’era una bella larga selletta.

Nel mese di luglio 1914 risultavano registrati il noto alpinista italiano Ugo de Amicis e le sue guide come ultimi visitatori. La matita accuratamente temperata aveva dovuto aspettare 6 anni la successiva annotazione e non l’avevano sfiorata gli immensi capovolgimenti che il mondo aveva vissuto.

[…] Merlet provvide alla nostra registrazione con una scrittura artistica. Io battevo i denti per il freddo … […] Si è molto preoccupati quando bisogna cercare una nuova via per scendere da una cima. La via normale era impraticabile tenuto conto del nostro equipaggiamento. Ci vennero i brividi al solo pensiero di dover trascorrere la notte sulle nere pareti del versante Nord. Il massiccio della Pala di San Martino è collegato con l’altopiano delle Pale con una cresta rocciosa. Su tale cresta si trovano sei grossi gendarmi o torri frastagliate come esistono solo nelle Dolomiti.

Era l’unica possibilità per noi di trovare una via attraverso il versante che scende ripido da questa cresta verso la Val Pradidali. Traversammo su ripide pareti ai piedi del primo gendarme, iniziando uno strano percorso in mezzo alla nebbia.

[…] perdemmo qualsiasi capacità di valutare altezza e profondità; dappertutto la nebbia fitta si spostava violenta, di modo che ogni tanto bisognava chiudere gli occhi a causa delle vertigini. Spesso si aveva l’impressione di fare il passo successivo nel vuoto.

[…] Ora avevamo perso definitivamente ogni possibilità di terminare la nostra affrettata discesa prima del calar della notte. Dopo il percorso della cresta nella nebbia avevamo ancora nutrito qualche speranza di arrivare alla base della montagna in serata. Adesso il buio toglieva qualsiasi visibilità e sotto di noi la roccia sfumava nell’abisso in modo interminabile. Cercammo quindi un buon posto per il bivacco. Fu una notte dura. Avevamo gli abiti bagnati. Merlet si legò un fazzoletto di seta intorno alla testa e indossò gli scaldapolsi. Non c’erano altri indumenti di riserva. Ingoiammo le ultime zollette delle nostre provviste di zucchero …

[…] Improvvisamente accadde qualcosa di terribile […] di schianto il silenzio totale dell’ambiente fu interrotto da un sibilo sonoro che veniva dall’alto e un sasso della dimensione d’una testa d’uomo si sfracellò con fragore in mille pezzi non lontano dai nostri piedi. A una velocità incredibile scattammo in piedi per addossarci alla parete. La paura ci mozzava il fiato, in attesa con la massima tensione che la spettrale caduta di sassi riprendesse.

[…] Resistendo al gelo si arrivò finalmente all’alba […] al sorgere del sole nel mattino luminoso della montagna il sangue riprese a scorrere di nuovo più velocemente durante le calate, e si dissolsero tutte le nostre fatiche. Guardando soddisfatti dai ghiaioni della Val Pradidali verso il nostro bivacco lassù in alto ci parve ridicolo il notturno spavento subìto durante la caduta del masso. Scendendo dal Passo di Ball avevamo di nuovo il Gran Pilastro davanti alla nostra vista: grande e imponente con quella magnifica via da noi percorsa con tanta mancanza di buon senso ma anche con molta fortuna. La gioia e la soddisfazione furono grandi come poche altre volte in montagna.

Testo e immagini tratte dal libro “Gunther Langes – Schleierkante – Spigolo del Velo”, luglio 2000, Nuovi Sentieri Editore, a seguito di gentile concessione dell’autore Bepi Pellegrinon.

Aquile Magazine