Tocco Artistico

L’arte è vita

Testo: Manuela Crepaz | Foto: Ezio Colanzi

Le imponenti sculture di Simone Turra, fortemente ancorate alla terra, sono la massima espressione che il gusto per l‘arte non conosce età né confini. Ecco perché “guardare e toccare è una cosa da imparare“

C’è chi suona il clarinetto e viaggia leggero, c’è chi predilige l’arpa e viaggia con un ingombro non indifferente. Un po’ come quello scultore, che, quando gli propongono una mostra a centinaia di chilometri da casa, deve munirsi di un camion con l’autogru per far trasportare le proprie opere. A Primiero, un esempio su tutti è Simone Turra, scultore che ha già collezionato una trentina di mostre personali in giro per l’Italia e all’estero. Ormai, dopo l’ultima esposizione alla Fondazione Mudima, a Milano, è entrato nel gotha degli artisti che contano. Lì, lo scorso febbraio, ha inaugurato la personale dal titolo “Erratico”, con tanto di catalogo riccamente illustrato, con l’introduzione del curatore e critico d’arte Gianluca Ranzi ed un’antologia dei principali scritti sul lavoro del prolifico scultore classe 1969, che da vent’anni vive di arte a Primiero. 

Se lo si incontra per caso in quel di Tonadico, dove vive con la moglie Michela e i tre figli scolaretti, due bimbi e una bimba, ti offre volentieri un caffè al bar Centrale o alla Torretta. Parla del più e del meno, si interessa di quello che fai, e, anche se magari è quello che vuoi sentire, non discorre della sua arte. Lascia libera la tua interpretazione, dandotene i mezzi: ti mostra il suo laboratorio, le sue sculture in fieri, i suoi innumerevoli disegni, i suoi attrezzi, le sue matite. Ma svierà il discorso sul significato che lui dà al proprio lavoro artistico. 

Se poi lo si vede all’opera, potrebbe sorgere un dubbio: lavora in una cava di marmo, o lavora il marmo di una cava, come per esempio quello di Lasa? Di primo acchito, infatti, con quei suoi Jeans e camicia di flanella a righe, al lavoro con martello e scalpello, la domanda non è peregrina. Il suo lavoro è infatti la sua arte, l’unica sua professione e tutto ruota attorno ad essa. Poi, se si dà una  rapida occhiata alle opere scultoree che stanno prendendo vita nel suo ampio laboratorio, a quelle sparse sul territorio, nelle gallerie o a quelle patinate sulle sue monografie, non ci sono equivoci. Da quegli enormi e inermi monoliti bianchi traslucidi, Turra sa “cavar fuori” l’anima, tanto che verrebbe da chiedere a uno di loro “perché non parli?” come fece Michelangelo davanti al suo Mosé.

Quando deve portare le sue opere nelle gallerie, beh, non è una passeggiata. Sì, perché loro prendono posto su un camion con l’autogru, e lui deve accompagnarle seguendo il carico mastodontico con una certa apprensione, ci si immagina facilmente. Come quella volta alla Fondazione Mudima, appunto. Alla mostra, sono arrivati una ventina di sculture di medie e grandi dimensioni e altrettanti disegni a matita su carta, di cento per settanta, che abbracciano gli ultimi anni di attività dell’artista trentino e si concentrano su un nuovo e inedito gruppo di lavori che riuniscono materiali diversi non solo di marmo, ma anche porfido, granito, legno, gesso, bronzo, terracotta e roccia “con la forza di chi scolpisce la pietra, con la leggerezza di chi muove la matita da disegno e riesce a portare nei suoi disegni il peso della pietra e dell’esistenza” come ebbe a scrivere nel 2012 Sonja Steger per un’altra personale.

Il corpus artistico ha riempito due piani, come un vero e proprio allestimento museale.Ranzi, direttore artistico della Fondazione dal ’96, asserisce nel catalogo ricco di centoquaranta pagine: “La mostra assume una particolare rilevanza, in quanto evidenzia come la ricerca di un giovane artista italiano, partendo dalla tradizione della -grande- scultura del XX Secolo, abbia oggi trovato una strada inedita per rinnovare il genere artistico dalle sue fondamenta, attraverso uno sguardo limpido e profondo sul mistero che ancora circonda l’uomo e il suo essere nel mondo”. Un mistero messo a nudo visivamente, che va cercato in sculture adamitiche femminili e maschili indistintamente, in piedi, sdraiate, sedute, sospese, che si guardano, si voltano, paiono osservare o si protendono, spesso alla presenza di un tronco d’albero nudo anch’esso, perché spoglio dei rami.

Scrive Gino di Maggio, presidente della Fondazione Mudima nella presentazione del catalogo: “Cresciuto artisticamente all’Accademia di Belle Arti di Brera, è tornato a lavorare tra le sue montagne in Trentino. Della sua straordinariamente bella terra originaria ha conservato in sé, mi verrebbe da dire, una naturale, personale eleganza, ma anche la forza e l’asprezza tipiche di quel territorio. Le sue sculture non sembrano scaturire dal lungo e paziente lavoro dell’artista scalpellino, ma dall’accetta del duro lavoro del boscaiolo. Forme umane primitive che racchiudono in sé un’energia vitale potentissima. Reperti archeologici che non emergono solo dal blocco della materia, ma sembrano provenire da un inconscio personale e ambientale profondo e ancora non completamente esplorato”.

Simone Turra è di casa anche ad Innsbruck. Un ottimo successo ha riscontrato l’anno scorso la sua personale alla galleria Maier, lungo la via principale di Innsbruck, la Maria Theresien Strasse (le “straze” de Maria Teresa, diceva mio padre quando studiavo lì), con la Colonna di Sant’Anna, la Cappella di San Giorgio, l’Arco di Trionfo, dove ci si ritrova a fare acquisti, gustare un Verlängerter (caffè lungo, ma alla fine meglio del loro “Espreso”), ammirare i sontuosi edifici barocchi ed immergersi nell’atmosfera tirolese della capitale alpina. L’allestimento era nella corte di Palazzo Trapp, con una ventina di sculture esposte, tra grandi, medie e piccole, in bronzo, legno, terracotta, realizzate tra il 2004 e il  2014. Non potevano mancare i disegni: una quindicina a matita di grande formato, tutti del periodo 2013-2014.

Per Simone, come spiega Michela, sua moglie, il disegno è indispensabile, va ben oltre lo schizzo preparatorio: è il polso del lavoro, il momento in cui l’artista Simone mette a nudo la propria anima e il foglio bianco diventa lo specchio che mostra la verità di quel momento: il sentire dell’artista e di chi gli sta di fronte. Le sculture in esposizione partivano dalle relazioni, erano infatti distribuite in gruppi in cui le figure interagivano fra loro nello spazio e nella situazione emozionale, mantenendo forte la propria individualità. La relazione, aggiunge Michela, in Simone è sempre basata sullo stato d’animo nella situazione di confronto o di accostamento ad un’altra persona, sia essa vigile o dormiente. 

Bella l’idea che la relazione cominci lontano, come un flusso parte dal rapporto dell’artista con il modello, passa dall’interazione interpretativa e spaziale tra le figure scolpite, arriva infine all’osservatore dell’opera, che ha la possibilità di entrare nel vivo del rapporto nel momento in cui partecipa con la propria presenza.

Quello che rende oltremodo speciale l’arte di Simone Turra è che ben si presta ad uscire dalle gallerie e stare all’aria aperta.
A Primiero, suo luogo natale (un gruppo di tre figure in bronzo è anche a Caldonazzo), opere sue scultoree di possenti dimensioni anelano alla libertà nel giardino di Palazzo Someda, a San Martino di Castrozza accanto al Palazzetto dello Sport e a Transacqua, in piazza San Marco. Le sue sculture sur l’herbe sono ad uso e consumo non solo di chi apprezza il senso artistico che trapela, ma pure dei bambini, a cui generalmente l’arte è vietata dalla saccente saggezza degli adulti: “Guardare e non toccare è una cosa da imparare”. Le sue sculture, invece, come uno strumento musicale, sia esso arpa o clarinetto poco importa, dicono il contrario: tocca, gioca e impara. Li si vede infatti che fanno comunella nella piazza di Transacqua, tra il gruppo scultoreo in verdello. Lì si rincorrono, saltano, si arrampicano, dove sorge pure un’artistica fontana da cui sgorga l’acqua che oggi serve loro per spruzzarsi, un domani chissà, li abbevererà del gusto puro per l’arte.

Aquile Magazine