Architettura Ritrovata

Memorie & Paesaggio

Testo: Nicola Chiavarelli

Nell’aprire questo primo numero del Magazine con una riflessione sull’architettura recuperata, si devono tracciare alcune premesse. Legno e pietra: questa la materia prima con la quale si confrontava la gens alpina quassù, basamento in pietrame, raccolto nel prato da pulire, tronchi sramati lavorati sul posto con selle per i giunti angolari, travature squadrate a mano, assi segate dalla veneziana, scandole a spacco e pochi mesi buoni per tirar su stalla e tabià, la casera era un lusso e verrà dopo, prima il pajon per la bigia (vacca) e metter via la dorc (fieno).

A legno pietra e calce, con la spinta modernista del ’900 di Marcel Breuer e Walter Gropius, si sono ispirati tra gli altri su questo lato delle Dolomiti: Edoardo Ghellner, Bruno Morassutti e Rolando Toffol con interpretazioni eleganti della cultura materiale montana nel ricomporre vuoti e pieni con legno e calce, un’architettura colta che affianca quella ben più diffusa del “simil” che con nuovi materiali artificiali tenta la ricostruzione in stile… ma questa è la montagna del nuovo millennio. Prima che le Dolomiti venissero scoperte dal Turismo, l’architettura alpina è stata, nella sostanza, una risposta funzionale, legata al sito e adattata per l’attività agricola: una architettura rurale.

Antropizzazione che contraddistingue le nostre coste ed i nostri centri storici, un insieme di soluzioni adeguate al luogo ed alle necessità, fatte per risolvere rapidamente e con efficienza le necessità stagionali legate all’economia di sussistenza che per anni è stata compagna di chi ci ha preceduto. In questo ricordo di anni duri risiede, credo, anche quella certa parte di repulsione al passato che nei primi decenni del boom economico ha fatto svuotare cucine e smontare paredi in cambio di formica e tapiflex… Questi edifici originali in questo paesaggio tracciano l’identità alpina cui s’appartiene, sia essa espressione della vita sulle baite dei prati che nei centri storici del fondovalle. Un binomio importante di fatto, che esclude rivalse nostalgiche, un sentire da rivalutare e da non perdere più: la memoria è paesaggio

Nel paesaggio Primierotto il patrimonio delle baite rappresenta con i suoi oltre 4.000 edifici un’unicità trentina da salvaguardare; la riflessione in corso opta per un riuso a tutela del deperimento e dell’oblìo ed il recupero d’uso delle baite. Recupero che ormai non può che avvenire attraverso il loro cambio di destinazione che passa da agricolo a seconda casa temporanea. Questa prospettiva di riuso/cambio deve convivere con la memoria/ paesaggio. Argomenti progettuali molto stimolanti (non solo per l’attualissimo stile vintage) ma perché introducono il fascino del contrasto, cui s’è ispirato anche l’intervento di recupero biocompatibile di un tabià a Zortea, frazione di Canal San Bovo nella Valle del Vanoi.

Il manufatto in stato d’abbandono, era stalla e fienile di fine ottocento, con struttura in muratura legata a calce, tamponamenti in assi orizzontali, tetto in legno. La stalla a piano terra, all’interno del locale ad avvolti con accesso diretto dall’esterno a valle con una finestrella frontale per la ventilazione. Da monte, attraverso il portone adatto a transitarvi con la carga, si accedeva al fienile a doppia altezza ricavato al di sopra del solaio murario voltato. Posizionato in affaccio sulla vallata lungo il versante che sovrasta il paese questo edificio è stato acquistato da una giovane coppia di vicentini che ne usufruiscono da allora (2002) ogni week end

L’intervento ha risanato gli attacchi a terra, consolidato i paramenti murari angolari con infiltrazioni anche dell’avvolto nel quale è stata ricavata la piccola scala che collega i vani interni, in luogo del precedente originale bus del fèn. I tamponamenti sono stati sostituiti recuperando la semplicità del linguaggio con legname al naturale preservato con trattamento bio ai sali di borace. Il tabià ospita la cucina pranzo nella stalla, la zona giorno open space a piano fienile, la suite matrimoniale ed il bagno mansardati nel sottotetto.

Prima che le Dolomiti venissero scoperte dal Turismo, l’architettura alpina è stata, nella sostanza, una risposta funzionale, legata al sito e adattata per l’attività agricola: una architettura rurale

Pannellature scorrevoli hanno risolti gli oscuramenti nella zona notte, ampie vetrate hanno trasformato il fienile in una lanterna immersa nella natura e gli avvolti garantiscono l’intimità del pranzo in quota. Volutamente è stato risolto l’interno con un linguaggio di contrasto, usando metallo colorato ed arredi di design, facendo risultare la casa particolarmente accogliente e funzionale alla nuova destinazione d’uso. Unici accenti visivi esterni due nuove finestre a piano terra, mantenute ridotte nella dimensione ma accentuate nella luminosità della collocazione dalle riquadrature geometriche in calce.

Grande dialogo con lo spazio aperto originario evitando la perimetrazione della proprietà – purtroppo spesso diffusa e, nel rispetto del sito rurale non è stato pavimentato il contorno a ridosso dell’edificio che “sbarca” direttamente sul prato sul quale alcune doghe poggiate sul terreno

Nicola Chiavarelli Roma -1961. Vive e lavora a Fiera di Primiero nello STUDIO MQAA, laureato a Venezia IUAV nel 1989, specializzato in bioecologia e bioedilizia con l’ ANAB, è un appassionato cultore dell’etnografia e del paesaggio alpino, con diverse opere pubblicate è stato recentemente segnalato dal premio europeo ILETE per la propria architettura innovativa e coerente con il contesto storico trentino Promuove e si dedica alle TreeHouse come nuova frontiera dell’ospitalità sostenibile.

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