Vivere in Montagna

No l’e sempre sagra a Sagron

Testo: Maurizio Salvadori | Foto: Archivio laboratorio Sagron Mis

Così si dice a Primiero, soprattutto ai bambini, alludendo che le cose belle non capitano tutti i giorni. Gli abitanti di Sagron dicono che il detto non esiste, è considerato un proverbio “soch”primierotto.

Era il 10 settembre 1630, quando su licenza di Paolo Savio vescovo di Feltre, il pievano di Primiero Bartolomeo Tedeschi celebrò la prima messa nella chiesa dedicata alla Madonna di Loreto a Sagron. Erano trascorsi ormai cinque anni da quando il vescovo Agostino Gradenigo aveva concesso agli uomini di Sagron la licenza per l’edificazione della cappella e Antonio Paternolo, pievano di Servo, incaricato dallo stesso vescovo aveva individuato nella località di Marcoi il luogo adatto.

La frequentazione nell’area dell’alta Valle del Mis era evidentemente tale che si rendeva necessario intervenire con la creazione di strutture adatte alla cura delle anime, di conforto ai lavoratori che potremmo presumere essere impiegati nelle attività minerarie e nella produzione del carbone piuttosto che nello sfruttamento del legname. Testimonianze documentali affermano nell’area geografica la presenza di attività estrattive e fusorie del rame già dal Cinquecento.

L’archivio Parrocchiale di Fiera di Primiero ci restituisce un documento nel quale si afferma che nella Pieve di Primiero, il 30 novembre 1591 è battezzato Andrea figlio di Bernardino Groff e di Augusta, il cui padrino è un certo Salvatore “dei Bernardini” da Tonadico e la cui madrina è Francesca, moglie di Toffol Bernardin del Sagron. Per quanto l’avamposto oltre Cereda delle Regole di Soprapieve andasse consolidandosi, la cappella di nuova edificazione era presidiata solo occasionalmente da preti di passaggio o che si recavano appositamente dalla Pieve e per i sacramenti spesso ci si doveva rivolgere a Tiser e Gosaldo.

Il 26 ottobre 1635, Simone Marcon (de Marconi) abitante di Sagron, a nome di tutta la popolazione del luogo, presenta una supplica al vescovo Paolo Savio nella quale chiedono tra le varie richieste anche di potersi rivolgere all’occorrenza al curato più vicino della diocesi di Belluno o a un suo sostituto, data la distanza di Sagron da Primiero e il cattivo stato delle strade, specialmente in inverno a causa della neve. E chiedono che il giorno della sagra, 8 settembre, non potendo venire il pievano di Primiero, possano trovare altri che amministrino loro i sacramenti.
Le richieste vengono accordate salvo che per i battesimi e matrimoni si ottenga una particolare licenza, e che almeno ci si rechi alla Pieve a Pentecoste o al Corpus domini.

L’anno 1635 è quindi il momento in cui si affida ad un documento l’esistenza della sagra di Sagron. Le sagre paesane sono un momento importante di ritrovo di una comunità, una ricorrenza che ciclicamente si ripete quasi a marcare il suo territorio, a ribadire la sua presenza, a rilanciare il suo futuro.

Dopo alcuni secoli la sagra gode ancora di buona salute. Oggi viene chiamata Sagra delle Pere, ma da quando il nome di questo frutto sia comparso, non lo si sa con certezza. Di sicuro, nel 1777, Angelo Michele Negrelli all’interno delle sue “Memorie” ne fa esplicito riferimento, raccontando che l’otto di settembre, nel corso della sagra alla quale era lui pervenuto per commerciare del tabacco, tale signora Lucia Caser molto amica di sua madre, gli regalò “ di quelle pere”. La memoria orale associa continuamente la festa alla presenza delle pere che venditori occasionali, provenienti dal vicino territorio di Gosaldo, venivano a vendere o barattare con altri prodotti della terra. 

Si tratta di ricordi molto nitidi dove la pera, anzi le diverse varietà di pere, vengono descritte in maniera molto dettagliata, sia nell’aspetto esteriore: gialla, verde, giallo-rossastra, piccola, media, tonda o allungata; e nelle caratteristiche organolettiche, nel gusto e nell’utilizzo che ne veniva fatto: consumata fresca oppure cotta, sciroppata o condita come la verdura.

Dalle “ceneri” di un commercio che ora non esiste più perché annientato dalla modernità, nel 2009 l’associazione Laboratorio Sagron Mis ha reinterpretato il significato delle pere della Sagra di Sagron mettendo in mostra proprio quelle antiche varietà che tutti (o quasi) credevano scomparse, fagocitate dall’abbandono del territorio, dagli aceri e dai frassini che spadroneggiano nell’alta valle del Mis.

Se è vero che l’intero patrimonio di alberi da frutto a Sagron Mis è scomparso, il versante opposto, quello per altro più vocato e tradizionalmente riconosciuto come produttivo, ha riservato grosse sorprese, e decine sono state le varietà ritrovate che hanno permesso di avviare una piccola mostra che ha avuto l’effetto di rievocare sì antichi sentimenti, ma soprattutto di avviare un processo di riflessione sull’abbandono del territorio e di riscoperta degli antichi sapori che stanno scomparendo vittime dell’incuria, della dimenticanza, del mercato globalizzato che ha semplificato a non più di 5 le varietà di pere presenti sul mercato. Il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, depositario tra i suoi obiettivi della salvaguardia della biodiversità, ha colto l’importanza della salvaguardia della sua forma coltivata ed ha appoggiato il progetto dell’associazione che ha così potuto realizzare un più approfondito progetto di ricerca. 

Il lavoro si è concluso, ma da perseguire con costanza è l’idea, già tradotta in pratica, di un arboreto diffuso, vale a dire la diffusione il più capillare possibile delle piante innestate con le antiche varietà. A prendersene cura sono già e saranno in futuro, i molti appassionati che riconoscono in questo patrimonio un valore non solo vegetale ma anche culturale.

Aquile Magazine