Tocco Artistico

Stre(e)t Barch: Che Graffi!

Testo: Manuela Crepaz | Foto: Pieluigi Orler

Un’espressione artistica originale ha trovato casa ad Imèr, il primo paese dell’arco alpino ad ospitarla. L’originalità sta nella scelta della “base” su cui Nicola Degiampietro e Gianluigi Zeni creano: l’intera facciata dei “barchi”.

Quando si arriva a Primiero dalla pianura, attraversata la stretta gola dello Schener che offre ancora scorci selvaggi, è Imèr che apre la porta sulla vallata, mostrando come si distenda a ventaglio per poi richiudersi contornata dalla maestosità di catene montuose uniche al mondo: le Pale di San Martino, le Vette Feltrine, le Pale di San Lucano e le Dolomiti Bellunesi.

Il paese di montagna ha uno spiccato senso artistico almeno fin dal ‘500

– una chiesa riccamente ed elegantemente dipinta e un percorso agli affreschi popolari dei secoli passati – che ha saputo diventare pioniere di due espressioni d’arte contemporanea che, a modo loro, seguono il solco della tradizione agro-silvo-pastorale. Sono SentArte, la valorizzazione dello spazio urbano con le panchine artistiche create da abili scultori-falegnami, e Stre(e)tBarch, la tela che si fa legno.

Ed è proprio di Stre(e)tBarch che vi voglio parlare.

Chi si trova a percorrere la tangenziale nei pressi dell’artistica rotonda con la lontra, simbolo di Primiero ed opera in acciaio corten del pittore e scultore Max Gaudenzi (approfondimento su Aquile n. 0), sarà catturato da insoli

te visioni che occupano un intero lato di alcuni barchi, i fienili costruiti con assi di legno appaiate che costellano il territorio.

Sono dei graffiti di notevoli dimensioni, espressioni artistiche giovani e frizzanti, per ora uniche lungo l’intera catena alpina-dolomitica, uscite dalla fantasia di due amici artisti primierotti, Nicola Degiampietro e Gianluigi Zeni, che si dilettano con temi contemporanei profondi, legati al rapporto Uomo-Madre Natura, tutti da interpretare.

I due scultori usano l’intera facciata come il pittore usa la tela. Ma anziché prendere la tavolozza e i pennelli, “graffiano” le lunghe assi verticali. Il procedimento è semplice quanto innovativo: con la smerigliatrice fanno tornare il legno al colore originario nell’intento di “purificare la materia”, e poi danno sfogo all’ispirazione.

Non usano i colori. Le opere poco cromatiche sono raggiunte utilizzando le sfumature che dal chiaro naturale portano al nero: dalle tonalità del legno anticato dal sole e dalle intemperie ottengono i toni grigi, mentre bruciando ottengono il nero e grattando la superficie trovano il bianco. Poi, solo un po’ di vernice a protezione. 

La fonte ispiratrice di Stre(e)tBarch è indubbiamente la montagna, in tutte le sue sfaccettature. Come scrive Gian Zeni sul suo sito internet, “è dal quieto vivere tra le montagne, amiche di gioco e severe maestre, che trovo

una sempre nuova spinta per creare, crescere e divertirmi con questa mia grande passione”.

La prima opera Street(B)arch, la purificazione della materia che dà il titolo a tutto, ha visto la luce nella primavera del 2016: la figura di un uomo raggomitolato che indirizza lo sguardo alle cime. Tante le interpretazioni: cerca di alzarsi? Si dondola? Fa ginnastica? Niente di tutto ciò.

Attraverso la rappresentazione del giovane rannicchiato e compresso, si pone l’attenzione su come un artista contemporaneo possa sentirsi “stretto”, vale a dire racchiuso all’interno di una rigida tradizione, legata spesso ad un concetto “tipico” di arte alpina.

Ed è indubbio che il titolo giochi

pure sul duplice effetto linguistico tra il dialettale (un fienile che sta stretto, stret) e la pronuncia inglese che echeggia la “street art”, l’arte di strada, che si manifesta in contesti urbani, utilizzando la strada come luogo di ribalta e vettore comunicativo, con il pregio di un’immediata visibilità e il raggiungimento di un pubblico vasto ed eterogeneo.

Se la prima opera è nata un po’ per caso (era pensata per un video da presentare durante la mostra “Frél – La purificazione della materia” dedicata all’arte visiva contemporanea della montagna al Centro di Arte Contemporanea di Cavalese), la seconda è stata supportata dalla vicesindaca di Imèr Sandrina Jagher con l’intento di farne sbocciare altre per esprimere attraverso i graffiti sui barchi una visione ed un linguaggio figurativi originali, slegati dalla tradizione artistica locale.

Ai due ideatori, Sandra Jagher lascia mano libera, ma hanno alcuni vincoli: i soggetti scelti per le opere devono far riflettere e non basarsi su classici stereotipi montani.

Ed ecco che nell’autunno dello stesso anno, poco distante, i due amici – Zeni uno scultore a tempo  pieno, Degiampietro pure pittore ed insegnante di arte e immagine – hanno prodotto un’altra visione graffitara, che non lascia dubbi interpretativi: l’agghiacciante ghigno dell’attore Jack Nicholson nell’horror film Shining.

“Il tema vuole essere ironico ma anche meditativo”, spiegano i due, “volutamente e necessariamente impattante. “Non si sa mai cosa nasconda un barc al giorno d’oggi. Un tempo esclusivo ricovero del fieno, oggi è utilizzato come capanno degli attrezzi, piccolo magazzino, legnaia e pure micro chalet. Il tema è intrigante”.

Nella primavera del 2017 gli artisti si dedicano a “Assolato paradiso ittico”: tre grossi salmonidi, ricchezza dei nostri laghi e torrenti, stanno per abboccare all’amo, un osso rosa del colore dei lombrichi usati come esche, che ben si vede penzolante dal colmo del tetto. Il contorno dell’opera graffitara è un immediato rimando alle tre cime dolomitiche che fanno da fondale naturale: Madonna, Sass Maor e Cimerlo.

Ma il significato va ben oltre. Alla base, il barc è protetto da un pannello perimetrale di latta, che ha ispirato i due artisti a comporre un messaggio provocatorio.

Come le scatolette di sardine, così è diventata la montagna: venduta come un prodotto preconfezionato, propina lo stesso prodotto in serie alla massa. Anche l’esca-osso ha un significato preciso: i pesci – come i turisti – sanno essere voraci, affamati di vacanze mordi-e-fuggi.

I graffiti stanno spuntando come funghi, colonizzando altri ambienti.

Recentissimo, proprio in concomitanza all’uscita di Aquile, il quarto. La natura ispiratrice ha portato Degiampietro e Zeni a sud del paese, tra il centro ittiologico dell’Associazione pescatori e il luogo in cui fino a poco tempo fa sorgeva la discarica. Lì, il collettivo Camposaz (vedi Aquile n.2) terrà il proprio workshop di architettura che prevede un risanamento dell’area, mentre i due artisti sono già intervenuti alla loro maniera figurativa con una mosca di dimensioni gigantesche.

Visto la vicinanza al sito e la presenza dei depuratori, si è pensato al fastidioso insetto, che con la sua capacità di adattarsi agli habitat più disparati ed ostili, è in grado di scomporre la materia organica per promuovere nuova vita. “È il micro che diventa macro – spiega Nicola Degiampietro -, una parte della natura piccola, invisibile e a volte fastidiosa che abbiamo voluto rendere interessante, considerevole ed importante… insomma, una ‘rivincita’ per tutti gli insetti”.

Quale miglior tema per gli artisti il cui filo conduttore è la “purificazione della materia”: togliere il nero del tempo che ha scurito i barchi per ritrovare il bianco colore naturale e dare vita ad altre forme artistiche.

Aquile Magazine