Architettura Ritrovata

Tutto lo charme nel Doch

Testo: Manuela Crepaz

Una sapiente ristrutturazione ha aperto un varco nel bosco, valorizzando l’essenza dell’ambiente circostante. I quattro elementi fondamentali di Madre Natura ci sono tutti: Terra, Aria, Acqua, Fuoco, declinati per il benessere dell’Uomo e dei suoi animali

Un piccolo miracolo di architettura ritrovata: questo è il risultato dello splendido intervento di ristrutturazione che sta ricreando vita attorno a sé, ridando linfa a quella spettacolare simbiosi tra Uomo e Natura che ha caratterizzato l’esistenza delle nostre vallate.

Lì, dove ora sorge lo Chalet nel Doch, fino a qualche decennio fa, durante la stagione dell’alpeggio, ci trascorrevano l’estate famiglie del Vanoi. Non di certo in vacanza, ma per “rubare” al bosco porzioni prative da falciare per produrre il fieno necessario a sfamare gli animali nelle stalle durante i lunghi e rigidi inverni in paese. Il bosco non si era ancora impossessato del versante del monte, erano i prati a sfalcio che dominavano gli spazi. Oggi si fa fatica ad immaginarsi distese prative, ma i locali le ricordano bene: caratterizzavano tutta la Valle del Lozen.

Vita grama, dura, difficile, sul crinale del monte Bedolé. Una montagna scoscesa, rude, aspra, sassosa e rocciosa, priva delle terrazze erbose che si scorgono dall’altra parte della stretta valle che porta verso quell’anfiteatro naturale che accoglie il lago di Calaita, da cui si ammirano le Pale di San Martino. Le Pale sembrano vicine, ma non è così: le divide la valle di Primiero, raggiungibile valicando la selletta da cui si scende poi verso Malga Crel. Non a caso, lì sopra le rive del lago di circo, sorge Malga Doch, la cui etimologia del nome ci ricorda un luogo di passaggio.

Doch, infatti, potrebbe contenere quell’originario animus etimologico della variante dialettale del tedesco Joch, (si pensi a Stilfer Joch, il Giogo o Passo dello Stelvio in italiano), che a sua volta ha una radice indoeuropea Yug, Yung, Jug che significava unire, congiungere. Nel latino si sviluppa in jugum, conservando il senso figurato di sommità dei monti che s’incurva a nodo di giogo. E il “giogo” di legno serviva per tenere uniti una coppia di buoi, come il giogo maritale tiene uniti marito e moglie. Nel latino dolomitico, si ammorbidisce in giou, giau, come il Passo Giau, che collega Cortina d’Ampezzo a Colle Santa Lucia.
Ma lasciamo da parte l’etimologia, che, in questo caso, ci porta fuori strada e torniamo alle ripide chine del Bedolé, dove Clelia Corona ha costruito il proprio regno.

Clelia è originaria della Valle del Vanoi, ma ha trascorso la sua vita lontano dai luoghi natii, finché un giorno, lasciata la propria carriera lavorativa alla ricerca di ritmi più dolci, ha deciso che sarebbe tornata per dedicarsi ad un’attività nuova e stimolante. Cerca e ricerca, finalmente trova il luogo dei suoi sogni. Un luogo che inizialmente poteva solo immaginare, perché sepolto nel folto del bosco, tutto da scoprire e da creare. E dal niente, con tenacia, passione, esperienza e gusto, riporta alla luce, disboscando, dei piccoli ruderi ormai fatiscenti, contendendoli agli arbusti ed alle erbacce. Li ristruttura e li trasforma in un hotel di charme, originale ed esclusivo.
Un lusso circondato da una natura intatta, fatta di mille profumi di essenze di bosco, brezze montane che portano lievi rumori di fronde, crepitii di passi felpati di cervi e caprioli, suoni di rapaci notturni e cinguettii di uccelli diurni. Anche i rumorosi temporali e le giornate di pioggia riescono ad avere un fascino particolare, tanto quanto le notti stellate illuminate dalla luna: colori che cambiano repentinamente, nuvoloni che salgono ed invadono l’orizzonte, nebbie grigie che si impossessano dell’aere. Per non parlare di quando il paesaggio si ammanta di una coltre nevosa che attutisce ogni rumore.  Sopra tutto, l’aquila regna sovrana e vola indisturbata alla ricerca di cibo.

Un luogo non luogo, in cui vincono le sensazioni e perde il senso frenetico della quotidianità, dove ci si arriva cercando, con calma e attenzione, senza fretta. L’acqua, fonte della vita, è presente con la sua sorgente, utilizzata fin dall’800. Un’acqua buona, non calcarea, che proviene da roccia metamorfica, il siver, come è conosciuta localmente.
All’atavico alpeggio, è stata data nuova linfa, con una ristrutturazione sapiente, rispettando le caratteristiche originali e utilizzando materiali naturali. Ci hanno lavorato maestranze locali, che conservano nel sangue i valori della tradizione e hanno saputo interpretarli seguendo il gusto di Clelia. Il suo stile  è particolare e raffinato, il design moderno si integra perfettamente nell’armonia del bosco: un connubio perfetto tra passato, presente e futuro, rigorosamente “bio”: i materiali utilizzati non conoscono infatti componenti chimiche, come la migliore architettura alpina suggerisce per il benessere di tutti.

Allo Chalet del Doch vi si accede dalla Valle del Lozen. Dopo aver oltrepassato il rifugio omonimo, la strada asfaltata comincia a salire verso il lago di Calaita. Ad un certo punto, sulla destra salendo, si nota l’indicazione: è da lì che comincia l’avventura.

La strada diventa sterrata e prosegue per un tratto nel fitto del bosco; poi, senza preavviso, ed è una piacevole sorpresa che fa sempre esclamare “oh”, la vista si amplia e si arriva  a monte dello Chalet nel Doch. Dopo  aver contemplato il panorama più svizzero che dolomitico, si raggiunge a piedi il corpus centrale: si è accolti in un’ampia sala che racchiude la cucina in stile montano e la zona living di design contemporaneo. Sono congiunte da un ampio tavolo che fa subito accoglienza, ed una calda stufa “a musat”, tipica delle zone di Primiero e Vanoi.

Il piano superiore ospita due eleganti e raffinate suites su due livelli, ideali per una famigliola. Altre due accoglienti baite ospitano due alcove d’incanto, dove l’intimità fa rima con lo charme che solo l’architettura lignea sa offrire: i suoi caldi pavimenti – non c’è niente di più rilassante che buttare da un lato scarpe e calzini e camminare a piedi nudi – e i suoi profumi quali essenze di cirmolo, larice e abete, che caratterizzano la scelta dei materiali naturali. La maestria artigianale dei falegnami e carpentieri che hanno seguito i gusti, la fantasia, le idee originali di Clelia si vede ad ogni passo: la perfezione di una scala, il gioco di contrapposizioni delle pietre porfiriche, le finestrelle che fanno capolino da sotto il tetto, i ballatoi curiosi… tutto è curato nei minimi dettagli.

L’armonia con la natura è preservata anche grazie agli animali che, quando l’erba comincia a crescere, sono pronti a mangiarsela: ad asinelli e lama è demandato infatti il compito dello “sfalcio”. E se i bambini sono attratti da una sana curiosità e voglia di scoperta, gli adulti provano vera emozione: un sentimento che allo Chalet del Doch si manifesta in tutta la  propria atavica libertà. Riempie le vene di sensazioni assopite o mai provate fino in fondo.

L’attenzione al cibo è primaria, il più possibile legata al territorio di Primiero e Vanoi e non mancano le eccellenze altoatesine. Il burro di malga, la Tosèla che arriva ancora tiepida, i formaggi nostrani… il pane fatto in casa, come le marmellate, guarnizioni di ottime crostate che fanno a gara con la squisitezza delle torte per una colazione o una merenda che accompagna i ritmi lenti della vacanza per partire “alla grande” o riacquistare la verve dopo un’escursione.Un invitante tagliere di speck, da tagliare grosso, cetriolini sott’aceto, Schüttelbrot e una buona bottiglia di vino d’annata… impossibile resistere. L’apoteosi del gusto è la cena: lo chef cucina a vista, i piatti che propone sono degni del miglior visual food. Anche l’occhio ha la sua parte e gode soddisfatto. Ma quello che rende unico il luogo, è l’ospitalità di Clelia: ti accoglie nel suo regno, ti offre mille proposte di sport, divertimento, arte, cultura e benessere che Primiero e Vanoi offrono. Poi, come per magia, in punta di piedi, se ne va, lasciando che l’esperienza di natura diventi solo tua e di chi è con te.

Aquile Magazine